Diario della morte italiana

Diario della morte italiana

giovedì 28 giugno 2018







Un giorno mi tufferò
con pinne e maschera in un mare cristallino,
forse in un Grande Giugno,
o nel caldo novembre di un altro emisfero

La mia pelle percorrerà
la vasta acqua santa e riverberante di sole
e le ferite oggi occupanti ogni spazio vitale
svaniranno per violenze divenute ridicole

E così la Terra stessa sarà
di nuovo percorsa da un uomo tornato limpido,
nel mare senza bandiere e felice di mito,
in cui un semplice nuotare è Felicità.

















venerdì 8 giugno 2018


Vorrei ospitare con Voi questa nuova primavera.

Ma anche l'inverno che s'allontana, Signore

e padre nostro misconosciuto;


inneggiare alla meravigliosa realtà del mondo

per un momento escludendo

il nostro genere detto "umano";


salutare con un musicale "Namaste"

il "divino che è in te"

oh santa santa santa Natura!


ed entrare con musica e poesia, solo così

in quel non più strumentale Paradiso

a cui sempre ci appoggiamo


Chi sa veramente quanto sia santo, santo, santo

questo tutto che qui andiamo ospitando

come un vero paradiso?


Là dove nell'erba raramente ci distendiamo,

e per sport, per hobby umano intersechiamo,

per ciò che "basta" e "serve".


Amici, non è più tempo d'utilità e sopravvivenza

né di falsa beatitudine e falsa coscienza,

la vita ci chiama come veri angeli;


là dove vivono intrecciate Musica e Visione,

fuori da condotte troppo umane,

nel tutto di cui poco ci accorgiamo;


là dove in pura Presenza e pura Semplicità

il tutto accade, e la sua Eternità

è in cose minime e fragilissime.


Amici, lasciamo la ferrea Ragione indietro,

e l'Io, gettiamo quel filo arrugginito

con cui andiamo recintando l'immenso!


Se solo con pari Eternità di nessuna Pretesa

ci preparassimo a ricever il vero paradiso...

anche all'umano esso s'aprirebbe!


Perciò su questa mia composizione,

qui vissuto fuori da ogni ragione

ricade il mio sapere concreto


Il brano musicale a cui mi riferisco è qui di seguito pubblicato. Buon Ascolto/Visione.

giovedì 7 giugno 2018



Omaggio allo sfortunato poeta e musicista scozzese Robert Tannahill


Ho composto questo brano musicale per mia forte simpatia verso il poeta Robert Tannahill, a cui è ispirato e dedicato. 

Il brano centrale di questa composizione, il cui titolo originale è “Gloomy winter's now awa'”(Il cupo inverno ora se ne va), è appunto del suddetto poeta e musicista scozzese, morto a 36 anni (nel 1810) dopo aver vissuto sempre all'ombra del primo bardo di Scozia Robert Burns, autore dell’arcinota e dolcissima “Auld lang syne”. 

Cosa mi rende tanto simpatico questo poeta sfortunato? Forse proprio la sfortuna, che lo perseguita anche da morto, e di cui mi accingo a dire. 

Sul finale, come potete notare, ho inserito una porzione del brano "The heart asks pleasure first" , tema del film "The piano” (Lezioni di Piano), il cui autore è Michael Nyman, il quale viene chiamato ovunque a suonare questa "sua" emozionante composizione, che però non è sua, bensì è un evidente rimaneggiamento di “Gloomy winter's now awa'”, in tempo di 4/4 invece che in 3/4. 

Nyman tace furbamente sulla paternità dell'opera, ed ogni volta mi viene da pensare al povero Tannahill. Io credo che un uomo di coscienza certa furbizia sempre la paga, e nel caso di Nyman ciò avviene ogni volta che viene ospitato in un teatro, in una televisione e ovunque egli venga chiamato ed elogiato per una cosa che in realtà non rappresenta il suo valore, ma il valore di un altro. E il prezzo di tale elogio deve essere per lui, in verità, una profonda umiliazione. 

La sfortuna, però, come se non bastasse si è accanita anche con un’altra ballata di Tannahill, nota come “the wild mountain thyme”, o anche “Will You Go Lassie, Go”, che vede come autore ufficiale Francis McPeake (anno 1957) ma che in realtà è una copia di “The Braes of Balquhidder”, composta dal nostro poeta. 

Robert Tannahill è un nome che non viene ricordato né elogiato, la cui arte però è indimenticabile fino all'inevitabilità, ed è suggestivo pensare che egli, proprio perché incompreso, prima di commettere suicidio bruciò gran parte della sua produzione, e quel che oggi ne resta è veramente poco. Pochissimi testi che tuttavia, nonostante la loro esiguità, sono stati copiati, abusati, rimaneggiati e ribattezzati furbescamente chissà quante volte! 

Ecco dunque questo mio brano modestissimo, ma leale. 

Il cupo inverno s’allontana e la primavera arriva,  vibrando con mosconi-violoncelli, gocciando da arpe fresche, soffiando in vari flauti e in ogni modo scalciante che essa conosce, finché la morte si scioglie sulla terra vivificata e il fragile diventa eterno. 

Ringrazio l'arpa celtica, i vari flauti anche orientali, il violoncello e il pianoforte che qui suonano e giocano nell'immensa orchestra che chiamiamo natura. E ringrazio mio nipote Romolo (16 anni d'età appena compiuti) per gli accordi da lui creati ed eseguiti con la pianola. 

Buon ascolto.

Poetainazione