Diario della morte italiana

Diario della morte italiana

giovedì 5 dicembre 2019







Piante






Erte nei vostri diritti o pendule,

predatrici della luce o pigre,


la Primavera è il vostro riscatto;

ma ecco l'estate, l'arido delitto



seguente, e già è vecchio il retaggio

nell'aspra luce nuova, nero privilegio



diventa la vita, e il tenero trifoglio

muta in ispido ritorto cespuglio.



In un giallo-nero vira ogni colore

e spaurito è questo nuovo stare



della Margherita, della maggese Spiga,

del Tarassaco che svela la sua fata,



se è già avvizzito ciò che ieri era ampio

e dove il campo splendeva di bianco



oggi è grigio, come l'Iris nel suo letto

le cui teste come mozzate cadono sul petto



di foglie stinte nel corpo adusto.

Dogmatico fuoco d'Agosto



a cui la terra diventa infertile,

polvere forzata, madre pazza e rettile



di cui perfino la farfalla è stufa

pur avendo ancora il muso da bruco.






















Il cuore

Dopo giorni
nell'inferno di questa Patria
che ormai si è dichiarata
"emergenza siccità"
la poesia è venuta

Una goccia o due
versate in questa notte,
irregolare precoce pazza puerile
solenne tragica rugiada
su questa radice che io sono,
mezzo americano
sognante l'West,
patata o fagiolo che sono
diventato, seminato da Thoreau

Fagiolaccio
allungato e crespo
sporco e vecchio
tra erbacce e suolo patrio
letto crespo
di lenzuola lise e sudate
così ingente d'ogni forma d'acqua
povero di versi e d'aria, assetato
eppure così acquoso
come Tantalo
poiché così è l'inferno

Con un ventilatore
cerchiamo risarcire
corpi bruciati e persi,
perché questo siamo
e i corpi ne sono parte

Letti di sudore
raccoglitori di spoglie
gialle tombe o dal colore
pastello capace, autoinganno!
momento felice del borghese
che in questo momento
consuma la sua vita intera,
finché le lenzuola si lacerano
sotto i nostri ansimi e scoprono
i materassi di piscio nero

Dal cuore balordo
una goccia
d'acqua salmastra,
o sia pure dolce,
residuo di qualche mare
o antico fiume
o  infuso di cicuta,
che però è subito asciutta
nel giorno che segue,
ché più intima della nostra poesia
è la nostra burocrazia, più forte!
Borghese o nazista o gesuita
dominio di razionalità,
eppure la sua buona facoltà
di bagnare e ancora dissetare
perché così è la poesia
quest'unica goccia ce l'ha

Goccia
fresca meravigliosa
che moltiplica in rivolo
e per addestramento di sé
poi ingrossa, destra
a dare un reggimento di versi,
non uno solo!
a risarcire, perfino a colmare
una Patria intera
e poi l'intera assenza d'Umanità,
in una notte sola.







***

Gli occhi servono a leggere o prevalgono molto più importanti?
- vedo certi flaccidi dotti riunirsi in brutte Università,
scrittori alzare appelli verso il proprio Editore (BUR),
occhiali televisivi e lenti spesse di burocrazia -
Va bene, torniamo alla domanda:
sono più importanti i tuoi occhi che leggono
beatamente in una notte chiara o nera
quando una lucetta alleata e amica
pian piano negli anni ti ama e ti acceca,
oppure sono più importanti i libri ?
Shakespeare e tutti i migliori poeti,
Dante, Goethe, Ginsberg, Emily

Lo spirito vola, l'anima è bella e il corpo bruto sta a terra?
- i corpi dei preti non sono meno insignificanti
dei corpi di quei scrittori e di questi burocrati bancari (BCE)
panciuti o consunti, nessuna conquista d'armonia -
E se torniamo alla domanda:
è più importante questo buio spirito
da prete incallito nei millenni,
da bancario, da impiegato assoluto
come Heichmann, del tutto privo di corpo,
o piuttosto l'anima esiste ed è buona
solo se è una lotta del corpo?
Michelangelo e tutti i corpi che lottano,
maratoneti, scalatori, apneisti, atleti



***

Il Dolore vero
di cui la piccola patria è parte
è una planetaria mancanza
è mondo
ma nessuno ha dichiarato
"emergenza dolore"

Dal dolore viene la mia Rabbia,
si dispone come freccia
su corda d'arco
e non c'è bisogno di toccarla
basta tirare la corda
con due dita inguantate

Perché la Rabbia è cosa fine
quando viene da fine Dolore
ed entrambi ci consegnano un arco
da toccare coi guanti



***

La rabbia. Sono noto per la mia collera.
Famiglia, amici, clienti, passanti,
il mio condominio, quello di fronte al mio...
chi non ha detto "lascialo perdere quello".
Un giorno danzavo nell'erba, ché tutti i giorni
per un'ora m'alleno nel tai chi, nello squallore
dei giardini romani gonfi di mozziconi e vetri
e tappi di birra, tra le erbette non curate
depresse fino alla radura indicibile, urtante!
 "Quello è pazzo e si vede pure che è pazzo"
 disse quella col cane contro cui urlai.
"Quello mi ha sputato", disse al suo ragazzo,
 e infatti è vero: le sputai, col sangue agli occhi,
quando dal mio dao silenzioso come pianta
mi forzò nel suo dao rumoroso di padrona
urlante più del suo cane. Fu un grande scontro:
civiltà del rumore contro civiltà del silenzio.
Cani, figli piccoli, ragazzi stupidi, adulti feroci,
automobili, allarmi, moto che rombano,
operai che demoliscono, camion che nettano
i secchioni, autobotti col cemento, autospurghi
e poi l'ultimo drogato, l'ultimo alcolizzato romano,
l'ultimo urlo di un presunto padrone del silenzio.   
Ma il silenzio non è tuo, è mio! Così è per natura.
La natura me lo ha consegnato, il silenzio,
come a un uccello, a una cicala, all'ultimo grillo padrone.
La stessa natura che al ventenne stupido col nasone
e cogli occhiali ha così presto tolto qualche grado,
mentre io ho così buona vista e quasi tutti i capelli neri.
Io animale di quest'Eden attraversato da carri armati,
io che imito la tigre e la gru ma senza emettere verso,
io che mi torco, nel paradiso più assurdo mai esistito,
e salto nell'erba e sbuffo e sbatto piede di Tai chi sulla terra,
sull'intero pianeta, tra mozziconi di nera civiltà,
con la mia rabbia pura, bianchissima, nera.