Campagna
dedicata
ad Anda-Ioana Ardeleanu che detesta la Veccia
Leguminosa
amorevole carnivora
qualcuno ti ha
chiamata "Veccia"
e microrganismi
simbionti fertilizzanti
tutti assiepati
nella rizosfera
a "rendere
fertile" - che bella frase! -
il sasso umido e
asciutto della Terra.
La Campagna ha i
suoi maghi
come le grigie
borgate i fruttaroli
e sugli asfalti
ciechi e sbriciolati
cassette di pomi,
lucenti colori.
Sì, i migliori beni
li respingiamo
in Città ma anche in
Natura:
ignari i nostri
piedi vivono su radici
come le città
vivono sempre sui cibi
- la Campagna sfama
ancora le Città! -
ma ciò che credono
importante, là,
sono le macchine, i
drink, i muri
in cui covare odio,
paura...
Oh, tra la Campagna
e la Città
stupidissimo
scegliere quest'ultima
ma il gran mondo ha
scelto!
Terribili quelle
come Bruxelles
un tempo sacre di
storia umana
e non di storia monetaria
e Frankfurt
medievale, ieri bella
oggi con l'Uomo morto
dentro,
gli umani vicoli e
il naturale fiume
dimenticati per ciò
che credono superiore:
la Banca Centrale e
il suo avaro regime
imposto sempre sulla
generosa Natura!
Natura di selva e
di uomo insieme.
E parlamenti e
studi televisivi
ville di
imprenditori (per arresti domiciliari),
templi massonici,
redazioni di giornali...
tutta l'Europa
riccastra
imposta sulle pure
campagne
da cui nacque puro l'Uomo!
Campagne la cui
madre è Foresta.
Oh, stupidissmi
come sono,
gli
intelligentissimi umani,
hanno dimenticato tutto
questo!
Microrganismi e
batteri
- anonimi angeli
campestri -
tutti sotto i
nostri piedi
nella mostruosa
sfera
dei simbionti e
delle radici
ed è sempre così:
non vediamo
chi ci offre il
miglior bene,
ma chi vede, da
Uomo, ode e tace
ed è così che in
pochi restiamo
a non parlare, a
ricevere il bene felici,
religiosamente
felici, e lasciamo
parlare le altre
bocche, vane,
in sopravvalutata
Comunicazione
che non è mai
sottovalutata Poesia;
e queste, pur
sbrodolate del latte
che era destinato
ai vitelli, e frutta
e ortaggi e il burro
con la marmellata
contro Natura
tuttavia agiscono
nelle supreme città
europee
dove i palati si
solleticano
con incompresi
massacri di vita.
Dalla parola
all'atto concreto,
con mille chiassose
prosopopee
e in riti di
bestemmia, inquinamento
e ogni altra cerimonia
di degradazione.
Natura obliando,
Natura mangiando
a sbafo, Mare e Campagna
sfruttando
e dimenticando
oltre Moneta.
E bevono vino per l'intossicazione,
ma non sanno cosa
stanno bevendo,
quale nettare reso
da angeli batteri
per trasformazione
di acido malico
o lattico, suprema
Trasformazione!
E i festanti moscerini
sulla frutta
che poi il
cittadino nevrotico
imprecante e
orripilato scaccia,
mentre quelli,
ubriachi come noi,
sulla massa
schiumante danzano,
danzatori un
po' come noi alticci,
mentre vinifichiamo
e succhiamo,
e talvolta vi si
tuffano e annegano,
tuffatori con
invisibili becchi.
Sarebbe cosa ben
più importante,
invece, fermare le bocche
umane.
Ma nessuno ferma le
minorenni
che affogano nei
coma etilici.
Nessuno ferma i
padri violenti
eccitati da certe fiumane...
Eppure io vedo che
sono le umane
bocche, rapaci e
avide, a far schifo,
sono queste le
bocche dei mostri!
Quanti beni di
Natura son nostri
solo in virtù di
appropriazioni,
mentre sono candidi
i rostri
di quegli insetti
che si posano
sulle nobili fermentazioni,
come sulla maturità
zuccherina
le api, le vespe, i
calabroni
e altri miliardi di
meno noti "mostri";
e succhiando danno
benedizioni
necessarie
all'intera vita della Terra;
e Natura
silenziosamente dispone
tutto questo come
in una serra
umile, paradisiaca;
e senza fierezza,
senza pubblicità né
propaganda
che non sia un fitto
ronzio e basta,
comizio di suprema
delicatezza.
Epperò continuano a
cicalare
gli umani tonti, a
non dir nulla
nei loro tanti giri
di parole
prive d'ali, non
certo Poesia!
E mentre ingoiano o
degustano
non sanno quanto
sono avidi,
non sanno che sprecando
insultano,
che ignorando i
sacrifici animali
doppiamente tradiscono,
e sono maledetti e
stupidi
e qualcuno perfino fuma
sigarette
distratto, e così uccide
di nuovo
quei beni che
furono così vividi!
Nella Campagna
atossica, ieri,
ho visto arrivare
la Dea delle albicocche
donna arancione nel
suo giorno
lavata però dalla
pioggia di giugno
e così subito gustata
dalla mia bocca,
e ho gustato ogni
cosa insieme:
frutti e pioggia,
frescura e succo,
il bagnato e il
bagnarmi, la goccia
che scorre, il
sommesso tumulto
del ricevere quel
bene in ascolto
tacendo gustando
albicocca,
e il rostro mio
pieno di sapore
estasi ascesi redenzione...
Perché solo così l'Uomo
è redento:
gustando piano e
sapiente il Bene,
muovendo verso di
esso, dentro
con la sua
Intelligenza piena
Ma gli stupidi
uomini immobili
non conoscono
redenzione
e praticano la
bassa "degustazione";
ed erano tutti accanto
a me, ieri,
i vicini di terreno,
ed erano la morte
oltre la catastale magica
recinzione
che ci unisce e ci
separa;
e così li ho uditi fin
nelle anime:
urlare, pigolanti,
scappare, claudicanti
e la vita e la
pioggia portare via,
sparite al tocco
delle loro figure
esasperate dalla dolce
pioggia;
e là sono svanito un
po' anch'io
nella domenica dei
morti viventi.
Non sanno - non hanno
ancora capito,
hanno dimenticato!
- che l'albicocca
arancione contro un
cielo nero
ci pone un dono diverso,
di colore,
uno strano dono di
pittorico dettaglio
prima ancora del
gusto feriale e mero.
I grandi pittori, infatti,
come i primitivi,
come i primi
terrestri campagnoli,
essendo gente fine,
sanno ciò e corrono
non a ripararsi in cementizie
ville
ad aspettare che
spiova immantinente
con imprecazioni in
gola tenute male,
ma ai loro
cavalletti da pittori vanno
per dipingere en
plein air l'evento,
magari sotto un
piccolo ombrello.
Capace Visione che
è Redenzione
per colui che è
pittore, che è redento
per capacità di
vista; come l'amico poeta,
come il vero artista;
o come il Selvaggio
coriaceo, friabile
solo per ordine di Campo.
Selvaggio la cui
umile bocca assapora
ogni cosa e di ogni
cosa è parte
per degustazione
non da sommelier
ma ignota ai
festaioli ladri villeggianti
signori venuti dalla
Città per brucare,
stupidi bloccati, in
mancanza di sole,
sotto un bel cielo
di mirabili piogge,
morti sui loro
barbecue, sulle loro radio
accese domenicali in
musiche omologanti
che tutti cantano,
a cui tutti rosolano
borghesi nella loro
Città Cafarnao.
Città di un dio
minuscolo che tuttavia
portano nelle
campagne circostanti
come fedelmente,
come in processione.
Città Cafarnao che però
non conoscono
miracoli che non
siano atti di Caos,
meschini, degradata
moltiplicazione
di pani e pesci in gioia
sconsacrata!
Città è già per
eccellenza dissacrazione,
quella che scorre bassa,
imperialista,
che sia nelle
domeniche fuori città
o nei territori occupati
di Afganistan,
che sia nei campi palestinesi,
nei silenti
luoghi sacri come
Gerusalemme o Bagdad...
E così li ho uditi rovinare
la Campagna,
musicata solo da
uccelli e ronzii,
con le loro bombe
di culture dominanti
lanciate in luoghi dove
vivono Uomini
ancora esistenti, non
borghesi disumani!
Uomini in ascolto, anch'essi
animali,
Uomini muti coi
loro arnesi di fatica
oppure cantanti,
come me, ma lontani,
lontanissimi dai
cantanti di televisioni
e radio; accompagnanti
così, magari,
la falciatura, la
potatura... tutta l'infinita
e dura attività dei
campi che è Amore.
La Città, invece, nemmeno
è onesta vita
di vecchio popolo,
di fieri lavoratori
ma è disamore di
cittadini dopo il lavoro
o dopo la noia e la
noia di chi tardi s'alza
e perde così la
miglior parte della giornata.
Città di drogati e
sciancati ma in rivalsa
come certi cocainomani
atletici in salsa
di maratone, in
pantaloncini aderenti
su corpi poco meno
che paralitici; e quando
la gara sfocia in qualche
pezzo di Campagna
la chiamano tutti in
coro "campestre"
e con facce rubizze
si lamentano del "fango",
ed io lo so perché
ero simile, correndo
le mie maratone, ma
non ero come loro:
bancari
rivoluzionari, sedentari celesti...
divisi tra Paradiso perduto e Tempo ritrovato
e la grande Bagdad
distrutta dalle bombe!
Ma questa
"mediocrità del vivere pedestre"
sembrando eroi... è
il vero Fango!
Il caos, la dissacrazione,
l'ignoranza
ma anche l'equilibrio,
la fede, la sapienza
di una falange di ingegneri
e scienziati,
bancari e banchieri
- tra cui qualche maestro
d'orchestra,
qualche furbo violoncellista! -
e tutti ammassati sono
i tanti mostri
in Caos e Ordine di
maggioranze istruite.
Sì, ricordo adesso ambulanze
preparate
presso i Fori
romani, accanto a un Colosseo
come sempre rivissuto
e ridimenticato
e ancora oggi si
parcheggiano divertite
in attesa che l'atleta
borghese muoia, il dio!
Sì, ricordo facce
popolane di ambulanzieri.
E qualcuno certamente
infine morirà,
scoppierà in tale
caos qualche cuore
e sarà una grande
domenica di Città
atletica e burrosa
come ne conosciamo,
bandierine qui e là,
sui petti i pettorali
e medaglie infine date
a bestie d'onore,
che sono tutte ammassate
e razionali,
o, senzienti, come
si dice dei maiali;
e sono tutti,
tutti, a loro modo professori
anche i muscolosi e
furbi fisioterapisti!
E nei prati gli fanno
da contraltare
i giovani studenti,
i piccoli universitari
con ambizioni grandi,
tra cui i non arrivisti
saranno poi filosofi
bidelli alle elementari.
E con i libri di
Eco Umberto nelle mani,
o, nelle già settarie
massoniche teste,
o chiusi nell'erba di
Villa Borghese, del Pincio...
Più difficile,
invece, dove si è più popolani,
dove la gente è più
vera, come all'Appio
o sulla Tuscolana,
per non dire Trullo,
è leggere un
mistificatore, un barone,
leggere con
piacere, intendo, un massone;
ma oggi che finalmente costui è morto
ne prende il posto
l'erede suo indiscusso,
oratore da
convention di manager - non certo
richiesto nella
partigiana oasi di Villa Lazzaroni!
Quello che per gli
industriali è Galimberti,
riduttore del
cinismo a un consentito lusso,
del nichilismo a
filosofia vaga, senza realtà,
come fosse
storiella ottocentesca un po' russa
un po' tedesca... e
non ci dice - l'esperto! -
tutta la viva e
attuale dissacrazione
di cui oggi questa
idea è spirito e verità.
La Città ascolta forse
un po' questo morto
vivente perché
qualcuno deve pur ascoltare!
Città che non ascolta
più Natura né Dio
ma cita serpenti
come fossero intellettuali,
e sono tutti della stessa
setta della rosa
e della croce, del
potere e del suo nulla,
ed è anche per
questo che l'atleta-dio
cade poi nell'erba
o sulle pietre del teatro
Flavio... poiché nel
nulla il cuore s'arresta,
nella strana
intollerabile angusta stupidità;
perché i veleni dei
falsi saggi o maestri,
misti ai veleni
della restante società,
tagliano man mano fiato
e gambe, e di colpo
fanno il cuore più
vecchio della sua età.
Veleni dell'immondo
uomo che non dice:
Fermati Città, stai
sbagliando tutto!
Roma, Italia, compi
la tua vera fede,
la tua vita
schiacciata di uomini sinceri
non di questi che
ti conducono all'infarto!
La bocca del
filosofo tace su tutta questa storia,
bocca aperta di
Città anch'essa, che divora,
ciancia e, come in
un dipinto di Bacon, esplode
tra una cosa che si
mangia e una cosa non detta;
bassa fronte su
troppo oleosi garantiti spaghetti,
fronte di bestia ma
in affettata Degustazione...
Ed è così che Cultura dominante pervade,
per inavvertito olocausto,
per lutto
immenso ma
inavvertito per le strade,
funerale di un
intero popolo ma ridotto
a festa, morte respirata
con bocca tesa,
come goduta,
sigaretta che toglie vita...
Sempre aperta bocca
ma nessuno che dica:
Basta, idiota, stai
divorando tutto!
Cafarnao di nessun
miracolo, nessuna fede!
Oscena Roma di
qualche nuovo impero tonto!
Ed è questo è il
nichilismo che nessuno dice:
divorare tutto senza
fede come fosse niente,
nessuna cognizione
e nessuna sacralità,
nessuna idea e nessuna
arte più... per quanto
proprio in questa
lista è l'indole italiana!
Io so che la vera
Letteratura, per esempio,
aspetta l'Uomo,
proprio come la Natura,
e si legge solo con
bocche e occhi chiusi
e in opposizione a
scienziati e imprenditori,
a riduzionisti e
liberisti, a chi procura
pillole e denari, virus
e atti virali
di cultura
industriale, merci profuse...
Penso ora alle
centrali nucleari del libro
come sono le varie Mondadori...
Sì, la vera Poesia
è come la Campagna,
aspetta l'Uomo, ma
fuori da certe porte,
in fondo a stretti
e sinuosi sentieri
- che non sono quelli
di città, contorti -
e vi sono vasti
spazi finali a sorpresa
che la Campagna
riserva a chi percorre
i campi, là dove la
città è minuscola
e la vediamo all'orizzonte
scomporsi
come quando
d'estate rovente ondula
sugli asfalti, e vetri
sciolti e specchianti
in profondità di
campo, tanto che i palazzi,
visti da un bosco o
una collina, sono niente,
sono tutto
l'impotente uomo che corre
verso un infarto o
un delirium tremens,
uomo che viene da
tutta una vita umiliata.
E non parlo del vecchio,
senile demente,
ma del giovane
laido, annichilito, pronto
a ogni corruzione, a
ogni disperazione...
E allora io non so
più, come poeta,
a chi spedire "le
mie lettere per il mondo",
e non so quale
senso abbia la Poesia
tra spacciatori e
contadini accomunati
sempre più dallo
stesso tipo di sogno,
in fondo alla via
più verde che conosco
là dove so che man
mano si ritrovano
finché non si uniranno
anche più in fondo,
inglobando il
bosco, nel cuore del bosco.
E scarpe ginniche e
maglie Decathlon
anche tra questi
calpestati e sfruttati
che a loro volta diventano
calpestatori...
Insomma, a chi
posso dire della Natura,
di questa mostruosa
cosa piena di vita?
Dei fiori
spaventosi e di tutti questi mostri
che sono amici e
amiche in piante e bestie!
Del fiore con macchia
nera su petalo giallo
che sembra una umana
feroce pupilla;
di come un bianco possa
esser una tinta
talmente soave da
umiliare il grande Raffaello;
e della mani di Talpa,
così enormi e brutte;
delle zampe di Tipula,
penzolanti e lunghe;
di come mai è stata
scritta in carta da artista
la cerchia di
questi oggetti spaventosi e belli:
né dal grande Dostoevskij,
accurato e vero
nelle sue
descrizioni ma solo di fatti cittadini,
né dai poeti, che
siano Rimbaud o Pasolini,
i quali pur hanno
visto fortemente ogni cosa:
uno "scoppio
di colombe", una "erba triste"...
e nemmeno da Pia
Pera nei suoi libelli
su fiori e ortaggi,
pur così cara e minuziosa...
A lei devo la
conoscenza delle Iris fiorentine,
delle Stelle di
Betlemme... che vedo in campo,
laggiù dove erompe un
fiore di soave bianco
che è velluto
proveniente da pianta spinosa,
ma non è lei che
amo, che chiamiamo "Rosa",
piuttosto è la
sorella verdenera detta "Rovo":
zingara con spini,
ma di quelli che restano vivi
nelle mani e tagliano
con una ferocia ansiosa
e calma, ritardata
e imminente, di popolo!
Rovi umiliati che
leccano lamiere di bandoni,
esiliati sui bordi dai
contadini e dunque furtivi
come gli emarginati,
alla ricerca di uno spazio loro;
e la falce piomba e
insiste ma li tagliuzza appena
perché il popolo agreste
è duro, perché i Rovi,
delle nostre
desistenze - come la falce che declina -
delle nostre forze sempre
più stanche,
delle nostre
velleità umane, fumose e leni,
ridono come chi già
vede in noi quella breccia
vittoriosa da cui
nemmeno il trattore è immune;
ed ha radici da
millenario attore, che la Quercia
è più giovane e
inesperta, il Rovo poco superficiale,
così privo di
fusto, libero da veri rami e chioma,
che non si regge su
due gambe come noi inetti
che non ha come noi
un solo cuore mortale...
Se la dea del Rovo perirà
sarà per ultima,
e morirà con
miliardi di umilissimi insetti,
e forse sarà nel
clima arroventato o ghiacciato
che ormai accerchia
i nostri continenti.
Ed è proprio
adesso, come dentro una beffa,
nel mezzo del clima
mutante, che io vivo
come Selvaggio, che
io incontro la Natura!
Nel cerchio ormai
disfatto, disfacente
delle stagioni, la
Campagna mai trovata!
Proprio adesso che
non si può più amarla,
mi dico, così
sconvolta e impura, stralunata!
E tuttavia la amo, ogni
giorno non faccio altro.
Non faccio altro
che amarla e fecondarla,
coltivarla per
ulivi e orti, portarla a frutto
per zucchini e
meloni, rucole e nocciole...
E perfino con unghie
la difendo quando
con punta di
forbici la libero dalla rogna
sui rami aggrediti,
e per sanarli piango sudore,
ricusando il rame, l'applaudita
nebbia chimica
la cui infestazione
per me sarebbe peggiore!
La zappa molte
volte mi si è spezzata in mano
toccando appena:
legno secco detto "manico"
contro viva terra; proprio
come la penna
che assume, qui in
Campagna, un che di ridicolo
oltre il sacro arnese
qual è, ritrovata e perduta
nella vita agreste,
in questa vita concreta,
e uno scrittore ne
resta impressionato:
realista che mai si
sarebbe detto così astratto
al cospetto della
più reale Vita!
Ma la zappa che si
spezza nella mia mano
cade come un
qualunque pezzo di umanità
ed è la nostra
pochezza ritorta verso di noi,
scherzo stesso
della nostra presunzione;
quella cosa davvero
infantilmente atletica,
densa di infarti e
deliri, che noi davvero siamo.
Tuttavia, se scrivo
così cosciente di noi e me
è perché in
Campagna questo status di uomo,
di semplice uomo limitato
e meschino,
capendo e amando si
perde, o si dà in sé
come Uomo ritrovato,
dentro un'etica
di uomo che io qui
ho chiamato "Selvaggio".
Selvaggio che come
gli ulivi a primavera,
come dicono i
contadini di qui, "è in amore";
quando è maggio e
l'albero si ritrova e fiorisce;
e allora l'anima si
amplia, si espande, vuole
capire, sapere
tutto di sé e dell'origine,
quindi sale ma torna
anche in basso, indietro
a perlustrare il
vecchio passato, che marcisce
nell'uomo, e il
presente, che tutto fa marcire;
e allora si rivà
perfino ad amare di nuovo
le vecchie letture,
qui in Campagna; letture
vecchie a cui s'aggiungono
le diverse nuove
illuminanti il
regno delle piante, degli animali;
e allora non più
Balzac ma Fukuoka, Bekoff
La vita segreta degli alberi, le tecniche colturali...
E Proust che infine
pare non aver capito niente,
nella sua casa di
campagna curata da altri,
nella tanta
bellezza regalata ai giardinieri;
tanto che mi dico,
rileggendo La prigioniera,
cosa avrà mai potuto
vedere da dietro le tende!
Può aver soltanto annusato
e origliato
la muffa che permea
l'anima e la prende
nelle persone molli,
la Morte idealizzata
come Vita, tra i
balli e le cerimonie...
mentre nei campi
estrema e dura azione
di non meno operosi
intelletti si estende
e già pensare alla
mano e alla falce è idea,
e la stessa falce
pensata da qualcuno: linea
di manico ondulato
che solleva e taglia;
e non di meno è
idea la zappa che affonda
in colpi pensati per
la semina seguente,
il pensare
d'inverno la primavera, veggenza
e grandezza d'Uomo
umile ma elevato
al rango di pensatore
di semi e di stagioni,
e senza macchine ma
solo con proprie mani
perché questa è la
sfida, la vitale sapienza
che fa del
contadino un impavido intellettuale!
Intellettuale impavido
ma anche risibile, certo,
di fronte alla Vita
che è sempre più forte
e allora i campi
ridono e ridono perché
tutto ricresce, specialmente
le "infestanti"!
Intellettuale le
cui idee meglio si assottigliano
sugli quegli alberi
maggiormente vulnerabili,
come i Ciliegi che
non si può tagliarli, guai!,
senza sapere quando
l'offesa è intollerabile,
quando ne
morirebbero come agnelli
squartati in Pasque
e Pasquette stupide,
potature incolte e
incaute da macellai!
Ma vale lo stesso e
di più per le bestie,
e chi sa della
Natura sa della Vita,
sa che questa si
rispetta, non si molesta,
e si uccide solo se
proprio davvero serve!
Vita senziente e
amorosa degli animali:
la capra che urla
se privata del capretto,
la pecora che
piange senza il gregge,
la coniglietta così
innamorata dell'altra
che quando ella è morta,
ed era nell'erba,
delicatamente, ha deciso
di seguirla,
delicatamente,
rifiutando il cibo offerto.
Oh, amante senza
tempo, che afflizione!
nemmeno Giulietta,
nemmeno Edipo
nessuno si è mai
tolto la tanto cara vita!
Quanta delicatezza
in Natura, troppa!
Gli etologi
migliori la chiamano "empatia"
ma questa non è che
una povera parola...
Oh, forse indirizzata
a chi uccide, a dire,
all'uomo che ne è
privo, cosa gli manca;
a chi, senza averla,
sgozza o tira un collo,
a chi in luoghi impietosi
la dea Fauna alleva,
a chi opera nei laboratori
della chimica...
Nemmeno due giorni
ci ha dato per salvarla!
coniglietta bianca
come la neve, lesbica
Giulietta; e né
amore, né pianto, né supplica
né siringhetta con
il cibo omogeneizzato
infilata di
traverso nella piccola bocca,
niente dal suicidio
ha potuto fermarla!
È incredibile cosa
può avvenire in Natura,
e cosa può avvenire
nell'Uomo ritrovato!
Tutto il meglio dell'uomo cittadino superato
con un salto, con
un saltello di coniglio,
per ritrovarsi poi fuori
dalle umane gabbie
che non sono mai
abbastanza ampie
anche quando le
crediamo migliori...
e ci proteggono,
invece, dalla libertà vera
proprio quando ci
crediamo liberi,
quando perfino si
propaganda, la libertà,
nella Città finta e
mostruosa dei liberali.
Certo, anche la
Natura ha i suoi mostri
e l'ho detto, e
sono molti : la stessa Vita
è mostruosa, prima
del mostro Natura,
del mostro Campagna,
del mostro Oceano...
E sono mostruosi il
Vento distruttore,
la Pioggia
battente, il Sole siccitoso...
ma tutto è talmente
degno, talmente
in equilibrio col
suo esser mostruoso...
Pantheon di divini
mostri che operano
pieni del loro
senso, senza colpa o biasimo.
No, essi non sparano
fuochi d'artificio,
tesi di una Città
che non sa nulla di nulla
e posticci dèi crea
per coprire quelli
che in Natura si
affacciano di continuo
anche se vestiti di
squame, lane, pelli,
se in scie di bave vanno
o con dieci gambe!
Ed è vero questo
parco di Bomarzo,
tra mostri che qui noi
siamo... ma non c'è
occhio bestiale e
non c'è bestiale muso,
non c'è cinghiale o
mantide o lombrico
che non sia un
tutt'uno religioso...
e colmo di armonia...
e quasi sfarzo
di gioielli che i
nostri orafi non eguagliano!
E non pianta mangiata
né vorace bruco
che sia infedele a
questo verbo fuso
nel corpo del
mangiato e del mangiatore
nel corpo unico del
tutto come rito sacro.
I nostri artigiani
dell'argento e dell'oro
non volano o
strisciano in terra da loro
consacrata, la loro
chiesa è un simulacro!
Qualcuno ha definito
religiosi gli Ulivi
e chi non li ha
visti, e chi li ha visti davvero?
Dipinti da Giotto,
francescani, mistici,
ma io dico che i
Mandorli spogli, o i Noci
che l'inverno
denuda, non sempreverdi
come gli Ulivi,
hanno l'aspetto di croci
alzate sul Golgota
per ricevere un Dio.
Protettivi coi loro
semi in globi verdi
che poi si spaccano
e all'interno, raccolti
in ulteriore
strato, i semi della futura vita
stanno, che noi cogliamo
per i palati.
Chiesa di foglie, di
verdi lance o dita:
estremità di piante
che ci toccano
ovunque e
addirittura ci guardano,
come i tralci
voluttuosi della Vite,
prensili, irrorati
di vene sanguigne.
E insistono nei
loro scherzi,
ci toccano nei
capelli, nella faccia,
alle spalle e alle
gambe ci avvinghiano,
s'attaccano avidi
come la Veccia!
Quanti milioni di
giardini di Bomarzo
che non interessano
più nessuno!
Quanti floreali
giochi tra Luce e Pioggia
mai visti da questo
unico cittadino!
Questo che si
compone di simili a miliardi
e si dà in figli privi
di occhi seri, bastardi
come orfani, come
incroci, come meticci
nati da un unico
corpo di borghese alieno
per cui spopolate
campagne divengono sabbia!
Mentre io vedo, e
sono pieno di sguardi,
queste spighe di Avena,
spontaneo Orzo,
selvatico Grano... e
il campo ne ho pieno!
E osservo ammirato
il giro alto del Falco,
i voli grevi e
mirati del Corvo, della Gazza,
l'invincibilità
delle formiche e ogni cosa
avviene sotto i
soli o sotto le lune radiose,
o nella fiera tenebra
di nessun plenilunio
quando nere si muovono,
ondeggiano
nel buio vero certe
gondole misteriose
di sogno e quelle
onde di spighe cavalcano
per i miei occhi
neri, forse, o per il loro Dio.
E poi il mattino
grande che ne consegue
- ah se non è
divino anche questo fuoco! -
il Sole e la sua
luce, che è interamente sua,
noi ce ne
illuminiamo sempre a sbafo;
e l'Aria del Cielo,
del Vento... nei polmoni,
di cui la Città è
priva malgrado la confondano
sempre con la
libertà... quella mala aria chiusa
tra palazzi, idea
con cui gonfiano palloni!
compressa nelle tante
case e negli scafi
delle automobili,
respirata tra i fumi...
tanto che è facile
essere come dei morti,
negli attici peggio
che negli interrati,
in tutte le forme
di abitato estorte
comunque a un
residuo d'aria in bocconi
di smog, di gas, di
peti d'uomini in rottami!
Tutti sani e
sportivi, là, tutti tossenti,
tutti ficcati in cancerogene
prigioni
che sono la Città, da
cui non c'è scampo!
La Campagna, invece,
è respiro risorto,
e subito i
vacanzieri da picnic lo sentono,
nei sensi blandi di
bestie industrializzate,
e prima o poi, coi
figli, si gettano carponi
nell'erba dolce e
pura come neonati;
e sono anche tenere,
le famigliole benestanti
nelle loro seconde
case... sebbene ridano
di una felicità che
bestiali non conoscono,
molto simile a
questa merda di pecora
rotta adesso, qui, tra
le mie mani
e data fertile, poco
fa, sui semi seminati.
Felicità che non è
amica di questi animali:
gechi, api, bombi,
oziosi gatti ciondolanti...
che sono corpo di
Natura e perciò amati.
Né è felicità amica
di corolle aperte su steli,
fiori su cui certi insetti
addormentati e neri
sembrano svenuti, su
quei fiori gialli intinti
come nel giallo stesso
del Sole, direttamente.
Felicità inarrivabile
di chi dorme su un fiore!
Su un cuscino ricamato
di polline e odore,
santa gioia che noi
mai conosceremo.
Quale Dio potrebbe
essere più presente!
Quale divinità
potrebbe darsi più dolce!
Non degustazione,
non venerazione
ma solo un Amore devoto
e incessante
tra grandi Dèi e infimi
semidèi campestri,
e lo sono tutti
fino alla più piccola pulce!
Tutti insieme
uniti, anche i più molesti
- per quest'uomo da
molestare -
in una comunità che
non è la Città,
la Città in cui
tutti, in cui ognuno è solo.
No, Campagna non è l'Italia,
non è l'Affare,
non è l'Unione degli
Stati nel denaro...
Qui non c'è storia applicata
di personaggi,
Fauna e Flora
vivono reali come sempre,
e il cemento non ha
sostituito villaggi
antichi con la loro
alta o bassa gente
comunque vera, come
vera era l'Italia.
Qui non esistono
case di penoso cartone
e telecamente come
quelle della televisione
ma case coloniche
di dolce tufo o tane
di volpi e istrici
in cui nessuno spia,
tenaci agli
inverni, alle piogge e ai venti.
Qui non ci sono
omologate culture,
alberi e animali
sono ancora naturali
in questi popoli, in
questo unico popolo
di natura non si è
mai arreso all'uno.
Qui non vige alcun obeso
individuo
che voglia ridurre
la totalità a sé,
non vige il furbo codice
del singolo!
In Natura, qui, solo
variopinte creature
e uccelli che sono
dei santi, e insetti poeti.
Qui solo tradizioni
millenarie e immutate
e gran capacità di necessaria
mutazione.
Mantide che da
sempre muta colore
in base al colore
mutante dell'erba,
e la Pioggia che
cambia in ghiaccio
come il fischio del
Vento in ululato
finché il tetto
trema e ogni metallo
a tale scultore che
reinventa paesaggi,
che il giorno dopo non
sono più quelli.
Natura è Permanenza
e Mutazione,
come Luce naturale è
Rivoluzione.
Ma non come noi che
mettiamo secoli
a formulare una
tesi di Copernico o Galileo,
ad accettare che la
Terra sia tonda
a spostare su di
essa un solo capello!
Luce di fotosintesi,
ad esempio, profonda
e immensa opera
interna, di vita,
di respiro, di
crescita... al cui comando
si muove ogni
pianta, ogni seme, ogni alga
e chissà se la stessa
rotazione terrestre
non sia un fatto di
Luce, per rimando
al Sole, abbraccio
in cui la Terra si piace.
E non c'è buio in
cui non vi sia Luce!
Come il buio che
cala su questa scrittura
e questa scrittura
che ora cala, si riduce
al calare del sole
nella finestra
che ho davanti, ed
è già notte piena
e la Campagna è
negra, anzi nerastra
per quella falce
biancheggiante di Luna
a cui il calendario
agrario si rivolge
ancora; e noi un
po' ci scherziamo
ma seminiamo sempre
sulla sua luce,
mai troppo lontani
dal suo richiamo.
Campagna che è
laguna veneziana
ma di erba e terra
seminata.
Campagna che si
muove arsa e allagata,
marea nera che però
nel bianco cuoce
della Luna; e
l'uomo Selvaggio la sente,
o il poeta, lupo
umano e feroce;
sente che ora sta
cominciando, alzata
sugli orti, sporta
su ogni seme seminato,
un discorso forte
ma piano, una voce...