Da
quel che so ancora nelle campagne siciliane
ancora
e ancora c'è un po' di malaria,
là
dove i fratelli calpestano i fratelli per il potere
e
l'Odio che agisce è peste!
Ma
qui a Roma non c'è più nulla,
nemmeno
un batterio che venga dalla natura,
e
se prendiamo il nostro Tevere come referente
melma
non può esser confusa con fiume
e
sasso non è sorgente... insomma c'è malattia
vistosa
e innegabile, Odio che agisce indifferente!
Avevo
capito già tutto a sette anni d'età
quando
tacevo, guardavo e ascoltavo
e
non era solo la mia solita timidità, no,
percepivo
così l'Odio Santo che tutto avvolge
a
cui il Gran Mondo ossequioso si porge
così
come allora rimetteva la sua innocenza.
Ma
il piccolo mondo sottomesso ancora
e
ancora e ancora vi si gratta i ginocchi
e
a quest'Odio vi si lega mani e piedi
ed
io che lo vedo oggi
lo
ricordo antico come ieri
Intorno
all'Odio, quel che accampa
è
fonte asciutta, è sasso, come ho detto,
o
al massimo è fango di corpi corrotti...
Ma
non voglio esagerare, inciampare
nel
lirismo... che non si dica "maledetto "
di
me che non sono più nemmeno poeta,
che
ho un male dentro che non permette;
e
non sono nemmeno un "ipersensibile",
un
poveraccio che deve esser consolato;
e
non saggio, no, e non ragionevole
io
che so solo quel che dovremmo sapere
in
questo mondo del resto già noto
La
mafia vuole che i suoi fratelli
contadini
lavorino dodici ore al giorno,
e
sapere questo è già un gran sapere
perché
sapendo io so come devo agire
e
forse evito il propagarsi di quel potere,
e
forse impedisco la caduta dei fratelli...
Ma
io vivo a Roma, e i fratelli siciliani
stanno
per me solo in poesia, come valore;
e
tuttavia anch'io ho qui diversi fratelli,
sia
per materna biologia piena di cuore
sia
per altri fratelli che sono astratti e dire
non
so; come certi amici, o quelli
che
mi sono fraterni in quanto poeti, o
coloro
che furono con me sindacalisti.
Ma
non vorrei - se dovessero uccidermi
poiché
"diffamo" il potere e il suo Odio -
si
schierassero col nemico in quel giorno;
fossero
mutati come certi partigiani
rimbambiti,
centristi e sempre più destrorsi.
Il
quadro della situazione sfugge di mano;
museo
della storia le cui sale sono buie
e
la Storia, pure lei, mostra luci strane,
come
di squame, come per mutazione
di
ampliato serpente... vincastro che morde
il
pastore... Virgilio avvelenato dal suo Coridone
che
nel frattempo è divenuto talmente stronzo...
Come
se Pasolini venisse querelato da Ninetto!
Odio
che è abiura sottile e querela d'avvocati,
non
più potenza data in grossi e rozzi chiodi
posti
nelle carni gentili, al tempo d'Innocenza.
No,
non mi impressionano le facce del Potere,
il
Sottosegretario alla Cultura ladro di Manetti!
No,
può urlare enfio e vermiglio quanto vuole...
e
anch'io potrei gridare... come il quadro rubato
grida
nel suo assurdo mistero, in cui è silente;
o
come quel pastore morso dal serpente
ma
non ucciso da veleno diretto, no, sbranato,
morso
altrove, dentro le sacre viscere lentamente.
Sacro
per ciò che era puro intorno e luminoso
per
secoli, millenni, e non buio come adesso,
per
soli pochi decenni di penetrante potere.
È
così che il rabbioso lupo prende il pastore,
e
colui che fu paziente oggi è ossesso,
e
anch'io conoscono ormai troppo bene
questa
voglia di emettere urli che mi preme,
e
di pestare quel serpente che non striscia più
ma
è già nella mia mano e più interno e più su
nella
mente impressionata, nel cuore introverso.
E
tuttavia questa mia rabbia non è vero Odio,
non
è come chi regna sul "volgo ignorante",
non
è il dannunziano mostro o sottosegretario
o
ministro o insignito professore... no, il mio
ululato,
ma soave, è verso di bestia e di giustizia,
portatore
di luna, come un bosco o un mare,
bosco
fitto di poesia, mare aperto di domande,
ed
è verso di rabbia su cui non alligna furbizia...
L'Odio,
invece, non è che meschino bruciore
in
cui l'ometto arde imbelle e dissimulante.
No,
su questo mio "odio" non posso presentare
rapporti
in cifre e ufficiali registri di nequizia,
perché
il mio non è il vero Odio, di potere,
quello
che tra gli altri dèi muove il Paese intero
e
che pertanto io dico ampio e duro da lottare
e
lo chiamo nemico che rode gli amici,
e
lo chiamo come un dio uno e multiforme
che
dovremmo prima o poi capire e disamare...
L'Odio
del furbo, l'autorizzato imbonitore,
e
l'Odio del fesso, l'imbonito pieno di livore;
e
l'Odio del politicante traditore degli elettori
e
questi che, traditi, lo stimano con Odio;
e
l'Odio del capufficio e l'Odio del subalterno;
e
l'Odio del populista verso il suo popolo;
e
l'Odio del regista verso il suo pubblico;
e
l'Odio subdolo del patriota verso lo Stato;
e
l'Odio che è nella mafia come ambizione...
E
qui torno alla Sicilia, io che sono di Roma,
proprio
come una certa Sicilia mira su Roma,
ma
non certo fraterna e poetica come me.
Affacciandosi
sulle campagne corrotte da se stesso
sentiamo
il mafioso dire "La poltrona è a Roma"
e
in questa frase è la sua idea di potere, di Palazzo,
di
politicanti amici ma alieni e corrotte mura.
E
in essa anche l'idea di tutto il suo disprezzo
per
ogni suo fratello operoso tra sementi o capre.
Ma
Odio meschino non tocca chi non è meschino!
Colui
che si affaccia da caserma o da Procura
e
tutta la città è santificata da quello sguardo puro
di
giudice, di poliziotto, di uomo di giustizia...
E
il pastore che porta la propria libertà vera
e
il contadino che semina nella sua idea vera...
o
chi come poeta queste verità mette in propizia
forma
da impugnare e issare come bandiera
e
tesse perciò questi fili di gente diversa e ignara:
filo
di fatica contadina, filo di libertà pastorale...
Se
c'è ancora malaria nelle campagne siciliane
chi
la subisce si infetta e nel letto si dimena,
ma
anche un poeta nella sua febbre si dimena,
qui
nel suo letto, nel suo tessuto, nel suo grido
di
fratelli siciliani e fratelli romani, boschi e luna,
e
Odio smascherato è solo ignobile dissidio:
chi
uccide da un lato, chi dall'altro viene ucciso,
Remo che giace, Romolo assassino per la poltrona.
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