Elefanti
Bussa alla porta del club della caccia il leone
mogano scuro, sito scuro, legno massone
e davanti alle calme avorio corna d'elefante
ora un ruggito d'orror-pena spanto assordante
investe Roma: chiese, fontane, affrichi obelischi,
tane di nobili con pedigree, cardinali basilischi,
salotti-rettilari, serpi in cupole, ascosi vaticani
che stanno nelle cose come code tra muraglioni,
lingue di camaleonti... ma sono più osceni i guizzi
che a quelle muffe pietre tirano viscose i ragazzi:
le mode giovanili collose di logica commerciale,
le lingue politicanti, i bestiari pestiferi di paternale...
Ma ecco che al ruggito il bieco Lucifero si fa fermo
cacciatore disturbato dalla preda sua che è stormo
vendicante ruggente negro immigrante fuori stagione
ed è bianca ragazza che cinguetta e piange ma è leone,
e stormo di ragazzini schizzanti sul Gogh impressionista
ribelli a quella bevanda veleno del paterno alchimista
estratto di morto da far bere piano ai "nostri giovani"
che però resta al chimico oratore nelle sue buie mani,
virus che essi rifiutano con il solo negazionismo buono
di chi si nega come preda alla luce di un giorno nuovo
Il leone ha visto quelle zanne davvero o in sonno?
La dura porta al posto della magica porta di sogno
quando al giovane è così amico l'amico elefante
che come tra braccia gli dorme steso tra le zanne
e non vi è guerra ma maternale pace nella foresta
che non dà alibi a spari ma solo schizzanti gesta
da cloache cittadine, viziose bestie armate di fucili
non gioia e coraggio ma acidi infanti verso cimeli,
ché in un facile sangue nessun eroe si ama ritratto!
nessun uomo vorrebbe se stesso in tale specchio!
Quindi ecco che al grande ruggito il piccolo uomo tace
sovrano pantofolaio su popoli e su animali ma pugnace
contro i miti, lenti, buoni, sapienti, trasognati elefanti
quando tiene una solida arma nelle braccia annaspanti,
che a non averla tremerebbe di quella umanità vigliacca
e vaga che ben sta al suo partito e alla sua squadraccia,
alla matrigna città; orfano della prima madre, la Natura
perciò di ogni equilibrio e salute; e "uomo d'avventura"
facevasi chiamare dai giornali; bestia gobba sulla finanza;
morale difensore di vita ma sepolto nel potere ch'è stanza;
fiero di ricchezza ch'è furto alla terra, ai campi estorto
come denti d'oro di borghese che ragazzi poveri han tolto;
e le dormienti montagne minando e rodendo per un prezzo
che non ha senso se non per il tarlo, non senza il malvezzo
del cacciatore, colui che meglio dell'elefante il compagno
ucciderebbe se d'avorio fosse il dente umano; e il danno
alla natura sarebbe allora risolto con minor sforzo e in sede
se i cacciatori dei cacciatori diventassero cacciatori e prede.
Nel club della caccia s'imbatte allora il ruggente leone
cercando una chiave, l'ermeneutica della sua estinzione
ma là vede solo teste decapitate di magnifici innocenti
e una civetta e una volpe beffardi: veri eppure finti!
Perché la luce della Natura non si trattiene con paglie,
ché sguardi, velluti e vita fuggono e beffano le tenaglie
degli imbalsamatori e l'infima statura dell'alta chimica,
e questo Noè di cocaina davanti alla sua parete-arca:
farfalla, rinoceronte e crocefisso da portare sulla Luna
business, lingotto e quel robot che alla chiamata s'aduna
e l'elettrificato pierrot, il guitto, l'ampia folla ammassata
e sterminio, accoglienza, nichilismo, indifferenza melata
e il tecnico, il servo, il dannunziano che sputa più in alto...
così si presenta al leone un uomo-ratto poco sopra l'asfalto.
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