Diario della morte italiana

Diario della morte italiana

martedì 19 dicembre 2023

 






Da quel che so ancora nelle campagne siciliane

ancora e ancora c'è un po' di malaria,

là dove i fratelli calpestano i fratelli per il potere

e l'Odio che agisce è peste!

Ma qui a Roma non c'è più nulla,

nemmeno un batterio che venga dalla natura, 

e se prendiamo il nostro Tevere come referente

melma non può esser confusa con fiume

e sasso non è sorgente... insomma c'è malattia

vistosa e innegabile, Odio che agisce indifferente!

 

Avevo capito già tutto a sette anni d'età

quando tacevo, guardavo e ascoltavo

e non era solo la mia solita timidità, no,

percepivo così l'Odio Santo che tutto avvolge

a cui il Gran Mondo ossequioso si porge

così come allora rimetteva la sua innocenza.

Ma il piccolo mondo sottomesso ancora

e ancora e ancora vi si gratta i ginocchi

e a quest'Odio vi si lega mani e piedi

ed io che lo vedo oggi

lo ricordo antico come ieri

 

Intorno all'Odio, quel che accampa

è fonte asciutta, è sasso, come ho detto,

o al massimo è fango di corpi corrotti...

Ma non voglio esagerare, inciampare

nel lirismo... che non si dica "maledetto " 

di me che non sono più nemmeno poeta,

che ho un male dentro che non permette;

e non sono nemmeno un "ipersensibile",

un poveraccio che deve esser consolato;

e non saggio, no, e non ragionevole

io che so solo quel che dovremmo sapere

in questo mondo del resto già noto

 

La mafia vuole che i suoi fratelli

contadini lavorino dodici ore al giorno,

e sapere questo è già un gran sapere

perché sapendo io so come devo agire

e forse evito il propagarsi di quel potere,

e forse impedisco la caduta dei fratelli...

Ma io vivo a Roma, e i fratelli siciliani

stanno per me solo in poesia, come valore;

e tuttavia anch'io ho qui diversi fratelli,

sia per materna biologia piena di cuore

sia per altri fratelli che sono astratti e dire

non so; come certi amici, o quelli

che mi sono fraterni in quanto poeti, o

coloro che furono con me sindacalisti.

Ma non vorrei - se dovessero uccidermi

poiché "diffamo" il potere e il suo Odio -

si schierassero col nemico in quel giorno;

fossero mutati come certi partigiani

rimbambiti, centristi e sempre più destrorsi.

 

Il quadro della situazione sfugge di mano;

museo della storia le cui sale sono buie

e la Storia, pure lei, mostra luci strane,

come di squame, come per mutazione

di ampliato serpente... vincastro che morde

il pastore... Virgilio avvelenato dal suo Coridone

che nel frattempo è divenuto talmente stronzo...

Come se Pasolini venisse querelato da Ninetto!

Odio che è abiura sottile e querela d'avvocati,

non più potenza data in grossi e rozzi chiodi

posti nelle carni gentili, al tempo d'Innocenza.

No, non mi impressionano le facce del Potere,

il Sottosegretario alla Cultura ladro di Manetti!

No, può urlare enfio e vermiglio quanto vuole...

e anch'io potrei gridare... come il quadro rubato

grida nel suo assurdo mistero, in cui è silente;

o come quel pastore morso dal serpente

ma non ucciso da veleno diretto, no, sbranato,

morso altrove, dentro le sacre viscere lentamente.

Sacro per ciò che era puro intorno e luminoso

per secoli, millenni, e non buio come adesso,

per soli pochi decenni di penetrante potere.

 

È così che il rabbioso lupo prende il pastore,

e colui che fu paziente oggi è ossesso,

e anch'io conoscono ormai troppo bene

questa voglia di emettere urli che mi preme,

e di pestare quel serpente che non striscia più

ma è già nella mia mano e più interno e più su

nella mente impressionata, nel cuore introverso.

E tuttavia questa mia rabbia non è vero Odio,

non è come chi regna sul "volgo ignorante",

non è il dannunziano mostro o sottosegretario

o ministro o insignito professore... no, il mio

ululato, ma soave, è verso di bestia e di giustizia,

portatore di luna, come un bosco o un mare,

bosco fitto di poesia, mare aperto di domande,

ed è verso di rabbia su cui non alligna furbizia...

L'Odio, invece, non è che meschino bruciore

in cui l'ometto arde imbelle e dissimulante.

No, su questo mio "odio" non posso presentare

rapporti in cifre e ufficiali registri di nequizia,

perché il mio non è il vero Odio, di potere,

quello che tra gli altri dèi muove il Paese intero

e che pertanto io dico ampio e duro da lottare

e lo chiamo nemico che rode gli amici,

e lo chiamo come un dio uno e multiforme

che dovremmo prima o poi capire e disamare...

 

L'Odio del furbo, l'autorizzato imbonitore,

e l'Odio del fesso, l'imbonito pieno di livore;

e l'Odio del politicante traditore degli elettori

e questi che, traditi, lo stimano con Odio;

e l'Odio del capufficio e l'Odio del subalterno;

e l'Odio del populista verso il suo popolo;

e l'Odio del regista verso il suo pubblico;

e l'Odio subdolo del patriota verso lo Stato;

e l'Odio che è nella mafia come ambizione...

E qui torno alla Sicilia, io che sono di Roma,

proprio come una certa Sicilia mira su Roma,

ma non certo fraterna e poetica come me. 

 

Affacciandosi sulle campagne corrotte da se stesso

sentiamo il mafioso dire "La poltrona è a Roma"

e in questa frase è la sua idea di potere, di Palazzo,

di politicanti amici ma alieni e corrotte mura.

E in essa anche l'idea di tutto il suo disprezzo

per ogni suo fratello operoso tra sementi o capre.

Ma Odio meschino non tocca chi non è meschino!

Colui che si affaccia da caserma o da Procura

e tutta la città è santificata da quello sguardo puro

di giudice, di poliziotto, di uomo di giustizia...

E il pastore che porta la propria libertà vera

e il contadino che semina nella sua idea vera...

o chi come poeta queste verità mette in propizia

forma da impugnare e issare come bandiera

e tesse perciò questi fili di gente diversa e ignara:

filo di fatica contadina, filo di libertà pastorale... 

 

Se c'è ancora malaria nelle campagne siciliane

chi la subisce si infetta e nel letto si dimena,

ma anche un poeta nella sua febbre si dimena,

qui nel suo letto, nel suo tessuto, nel suo grido

di fratelli siciliani e fratelli romani, boschi e luna,  

e Odio smascherato è solo ignobile dissidio:

chi uccide da un lato, chi dall'altro viene ucciso,

Remo che giace, Romolo assassino per la poltrona.

 

 

 

 

 

 

 


 



                 pensando a questo governo fascista con integrazione di sinistra

                 però nella nuova cornice di quel dipinto tagliato e rubato

                 dal Sottosegretario ai Beni Culturali Sgarbi Vittorio

                 il cui incarico è la tutela del patrimonio artistico 



Nelle carni gentili

con chiodi grossi e rozzi

ci hanno crocifissi

Potere è fabbro

e fabbrica di chiodi

 

Al sole che sorge sulle colline

si sono levati i ragazzi

e le ragazze dai mari

colline verdi e di croci

marine d'Italia in corpi muti

 

Così li hanno voluti

questi loro figli morti

ma i figli sono duri a morire

e invocano come tanti Gesù

un dio che li faccia risorti

 

Padri di Patria e Potere

chiodi grossi e rozzi

portano nelle carni d'Italia

i ragazzi gentili

quanto dolore, quanto dolore!

 

 






 


giovedì 14 dicembre 2023

 






 

 


Tornare alla poesia,

poetare o non poetare?

questo è il dilemma

 

Iniziare con un tale dubbio va bene

ma senza farne un punto luminoso,

caro mio; un Marx come un quasar

di dubbio o una supergigante blu

nella costellazione del Cane Maggiore

 

Forse poetare è esser pazzi così,

ma oggi più di ieri, e sì, pazzi come Amleto,

ma più pazzi se pazzo è l'autore, il

poeta stralunato in sé che dice paz... paz... paz...

e, come nei film d'esorcismi, poi sbotta in latino

dicendo patior patior patior ma ignaro del lemma finché,

cerca e cerca, sbuca un prete della Treccani

da internet e glielo traduce con "sopportar",

"soffrir per il fetore del mondo, e il proprio".

E un etimologo, anche lui mezzo pazzo

o "disperato dal linguaggio", come direbbe Balzac,

viene a sussurrargli all'orecchio, com'a un cavallo,

il termine metà latino e metà napoletano pactiare;

ma il poeta, ormai spacciato, serissimo

ma non sussiegoso come lo si vorrebbe,

invece di incassare, vi aggiunge "tra la là!"

e lo fa in faccia al mondo

al mondo che da lui si aspetta taccia!

Oh, non c'è niente di peggio che pazziare

in un mondo tutto franato in un piccolo buco

come questo, dove camminare sull'orlo

è di scarpatella e non più di abisso,

e sulla strada non un corteo in passi lenti

ma carri di musica tecno o rock o pop

che sarebbero lì per la Lotta

 

Il Nulla non esiste, ovviamente, e il poeta lo sa,

sa bene quanto pieno di senso sia il mondo

epperò, ovunque, oggi vede il Nulla,

il predominio irrazionale di certi laidi canti,

omerico Circeo di schiume rosee

perché più che distrutto, il mondo, è ricoperto di rosa!

E i ragazzi non vedono gli scogli in quella spuma

e ridono e prendono per il culo il poeta serio

che amerebbe dare un canto non di tragedia,

certo, ma di cinguettii e campagna, gatti e fiori,

gatti che annusano fiori e forse viceversa

ma non sapremo mai cosa ha scoperto il poeta!

E Stelle di Betlemme e Iris e non ecologia

che lotta per la Terra, ma Terra salvata in versi.

E invece no! deve dire Realtà e fare Lotta

se vuole mutare il mondo crepato e franato

e rifarlo in sano Paradiso solo eretto sui suoi colori.  

Ma ci vorrebbero mille metamorfosi

proprio come le ha viste Ovidio, ma migliori,

in cui dovrebbero mutare tutti i presenti,

anche gli squisiti ecologisti pieni di ragioni,

e il corteo franato in un rave da millantatori

dovrebbe tornare davvero alle note della Lotta,

ma per poi mutare ancora, e ancora, e ancora

finché non sarà silenzioso nuovo inaudito Furore

interno all'Uomo, poesia dentro tutti!

Come un Ezra Pound che si espande

in quella sua rabbia e in quella sua percezione,

uragano che distrugge e riedifica Civiltà intere!

 

No, non fu nero, Pound, fu solo posseduto,

pazzo... ma un bianco pazzo Omero

capace di bacchettare Pasolini

 

Udite, udite, udite! La poesia prende forma.

Il poeta dichiara aperta la seduta.

E tu, percettore Uomo - sì perché anche tu

puoi e devi dare forma a poesia, dato che poesia

coincide con realtà, oggettiva enumerazione di cose

cariche di significato e non c'è nichilismo che tenga.   

Ascoltami dunque e guarda con me

- e mi va bene se balli mentre ascolti, balla pure -,

guarda tuttavia, guarda come vanno

il pop, il rock, la tecno non con la Lotta

ma con il fumigante nichilismo incenso

che sempre sfumacchia anche in Paradiso.

Accompagnatori d'altra specie che per altra specie

di flauti, tamburi e clavicembali

portano altra specie di preghiere e balli

- e mi va bene che si preghi e si balli,

l'Uomo è nato per fare questo da millenni,

ma a quale Dio e a quale mulino portano?  

 

Questo è solo un piccolo esempio delle gesta,

forse anche banale e stupido, ma ci mostra

gesta che non edificano ma vanno

in direzione del tutto franante in picciolo buco.

Oh, Iddio è già defunto, certo,

lo conosciamo bene il suo necrologio,

ma siamo sicuri che oggi non venga riucciso

ogni giorno spingendo tutto in quel picciol buco?

Oh, non cade più il corpo sotto la croce,

e sembra che Vivaldi suoni solo per me

il suo Stabat Mater meraviglioso;

e non passa più per camera ardente

questo Tutto-Dio-Corpo del mondo,

ma per bottiglie in mano sudati ridendo

 

E la cosa peggiore è che io li vedo,

e non essendo storpio né di cervello lento

mi sposto sano e veloce quindi li urto,

incontrandoli a distanza, e in casa mia!

Sta notte, ad esempio, compiendo beato

la mia solita lettura accanto al veneziano

mostrante Madonna sua dolorosa et lacrimosa,

gli apostoli del Nulla mi sono apparsi,

tra questi libri noti ma non salvi

dalla fiammella di Nietzsche che spenge

la bella fiamma portata prima sulla pagina

da questi scrittori e autori novecenteschi;

e allora frana tutto, tutto ciò che egli tocca,

proprio come mio nipote che invecchia

per ogni fascinazione e citazione,

per quel niccianesimo che è nell'aria

(l'aria comunque di un piccolo buco intasato!),

e va al di là del suo maestro spocchioso

questo senso nicciano fesso nervoso...

Insomma, frana il ventenne in vecchio odioso,

ed è ragazzo ma anche tonto mulinello

che certo non vede il suo gorgo

in questo duro specchio temporale

che io perfettamente conosco,

analizzato milioni di volte

per milioni di libri e riflessi,

e per milioni di cellule vecchie mie

dato che io ormai sono vecchio per età  

 

E allora Camus, e Yeats, e poi il Gide

confuso e triste de "L'immoralista"

che all'Africa ha tolto il sole, che invece

doveva festeggiare lieto la liberata omosessualità,

appropriandosene, mentre con laido Nietzsche

l'ha incartata, delegando a lui lo scandalo.

Come perdonare a un ventenne amabile qual era

- oh, come l'ho amato, il caro Gide in tempesta! -

questo male che rode senza la minima ragione,

nichilismo che mai vero scandalo produce.

Per Zarathustra sceso dalla montagna,

scalciante qui e là come un montone,

tradire il delicato, vivo, umano André Walter?!

 

Al pari, nella mia notte, Vivaldi è amabile

e tra gli archi accende un basso continuo,

e mi pare un improvviso tamburo di fondo

perché così io lo sento benché nessun tamburo

vi sia sotto la Croce, che non è barocco

e sarebbe una stonatura! E allora è il cuore mio.

Forse è quello che batte basso, esule, tocco

un po' anche lui come la mia testa

e certo non sa più che pesci prendere!

Cuore un po' barocco, ma solo in parte,

che deve il suo pulsare, il suo pactiare

all'epoca in cui è nato e si è sviluppato

come esso ha potuto nel mondo sviluppato .

Epoca data trent'anni dopo l'olocausto,

gli anni Settanta, e poi gli Ottanta, fin oggi.

Visto così sembrerebbe lontano Nietzsche,

maestro di Hitler - o, secondo Lukács,  

"spianatore della strada al nazismo..." -

ma non è così! Egli rivive, riede, ricade

nel borghese dominatore dato

proprio negli anni Settanta

quando Pasolini ne fu disperato

e poi ucciso.

Avversario di Marx ma senza dati alla mano,

nessun "Il capitale" all'attivo;

antesignano della razza ariana

o del nuovo uomo superiore

e già retorico assassino di Dio mai punito...

Volevi forse i nostri nipoti?

Eccoli, li hai presi, e li hai presi dai padri lesi

e presi a loro volta mediante influenze tue

e crepe e frane varie a carico della Sacra Gioia.

Volevi di certo morta la pietà!

Morto il cristianesimo, la fratellanza!

La stessa redistribuzione della ricchezza!

Volevi il Nulla come crepuscolo della bontà,

buco in cui spingere il mondo cordiale.

Che poi i valori, si sa, sono fragili

non c'è bisogno di andarci di zappa.

E i dubbi, chi non ne ha!

Però, maestro, dov'è la messa in dubbio

della cattiveria umana?

Mai dubitasti nemmeno della violenza dei ricchi.

Che infatti usarono poi tutta la loro violenza.

La tua fottuta esaltazione del punto zero

trovò poi giustificata continuità nell'anno zero.

Perfino l'attuale imprenditore è il tuo oltreuomo.

E sempre tua l'autodistruzione nella ricchezza.

 

Marcio maestro di aristocrazia desadiana

intento in celati stupri di plebei siciliani,

quando fosti ospite di nobili nel Sud Italia.

"Formule filosofiche belle come formule magiche"

le tue, e cito parafrasando ciò che ho letto ieri:

un simpatico matematico divergente *,

scienziato che ama l'algebra e i gatti neri!

E mi è piaciuto, stimabile, anche divertente

nel suo scandalo; sì perché scrivendo questo

dovrà temere i colleghi e il suo committente!

 

Marcio maestro  di scandali troppo ben pagati: 

"Dietro tutti gli ideali dell'uomo c'è il nulla",**

facili quanto facile è far dire alle masse:

"Tutto è relativo", "Dubita di tutto"...

 

Ma su cosa si può lecitamente applicare il Nulla?

Al diavolo le formule retoriche del nichilismo!

Sull'ideale cristiano? Sull'ideale della musica?

Sull'omosessualità di Vivaldi?

Certo è che se i fascisti avessero avuto la formula

magica dell'eterno ritorno

il violino glielo avrebbero ficcato nel culo.

Poiché solo i fascisti possono applicare il Nulla,

solo gli incolti eccitati dalla distruzione,

stendendo sulle cose un'acida violenza

e un increante sterile velo di tristezza, il quale,

per esser così maldisposto all'osservanza del bene,

ha fatto derivare per tutti la psicologica depressione,

quella che sappiamo come materia da psicanalisti

ma che è organica solo se prima è ideologica,

e questo nessuno lo dice, eccetto il poeta.    

E i loro inni al coraggio sono solo codardia!

Cantano per virilità "Eran trecento e forti..."***

ma non sanno che quei trecento spartani eran gay.

E sono figli dell'antica Roma e della Roma bene,

Mussolini nel taschino come essi ci mostrano.

Ma sono anche figli dell'antica Lombardia, Salvini

che inseguono nell'aia un maiale terrorizzato,

come youtube ci ha mostrato.

E sono anche dei rivoluzionari confusionari

per cui il pelato e Che Guevara sono uguali,  

e lo pensano davvero, ne sono testimone,

e come me lo è chi con loro ho parlato.

 

E quindi io vivo, ma amaro testimone.

Come l'ebreo dei Campi.

E ascolto questi violini nella mia notte

ma non so se potrò anche domani,

così accerchiato da quanto intorno preme;

se tornano questi morti neri della Storia

e il fascino di quella molle parola magica

corrompe figli e nipoti; e ferrea parola poetica

non ha presa, non sanno niente di poesia!

Del resto uccidere il bene è uccidere poesia.

Tenere alla distruzione di tutto è uccidere poesia.

Pasolini stesso fu ucciso per poi ucciderci tutti.

Ma i morti sono sordi pure ai violini barocchi,

nei quali io perfino odo il mio cuore umano

e sono di colpo certo della sua sopravvivenza.

Ma quali cuori battono, quali coscienze?

E che cuori sopravivranno domani?

Quale nera orda di tamburi?

Quando il giusto griderà "à bas les rois!"

e la massa griderà "à bas les lois!" ****

 

 

 

 

 

 

 

 

* Paolo Caressa, citazione originale: "Formule matematiche belle quasi come formule magiche"

** Nietzsche

*** La battaglia delle Termopili, i trecento spartani erano notoriamente omosessuali e bisessuali  

**** Da una poesia di Friedrich Engels in cui descrive Max Stirner. "Abbasso i re"/ "abbasso le leggi".

 

 

 








 

 







 L'uomo del Club della Caccia

 

 

 

 

 

 

Bussa alla porta del Club della Caccia il leone

s'apre mogano scuro covo inferno antro massone

e dischiude per stanze corna avorio d'elefante

un ruggito d'orror-pena spanto nero assordante

che investe Roma: chiese, fontane, affrichi obelischi,

tane di nobili con pedigree, miti cardinali basilischi,

salotti-rettilari, fermi sauri in cupole, ascosi vaticani

che stanno nelle cose come code tra muraglioni,

lingue di camaleonti... e ancor più osceni i ragazzi

che tra quelle muffe vanno recando i viscosi vezzi:

appiccicosi conformismi, adesive logiche commerciali,

collose retoriche intellettualistiche, melasse paternali...

 

Ed ecco che al ruggito il bieco Lucifero si fa fermo

cacciatore disturbato dalla preda sua che è stormo

vendicante ruggente negro immigrante fuori stagione

ed è bianca ragazza che cinguetta piange ma è leone

e sciame di coetanei schizzanti sul Gogh impressionista

ribelli all'ufficial veleno borghese autoritario alchimista

estratto di morto da far bere sovrano a "nostri giovani"

che però resta al chimico-oratore nelle sue atre mani, 

che essi rigettano col solo negazionismo oggi buono:

di chi si nega come preda alla luce di un giorno nuovo.

 

Il leone ha visto quelle zanne davvero o in sonno?

La dura porta al posto della magica porta di sogno 

quando al giovane è talmente amico l'amico elefante 

che come disteso tra braccia gli dorme tra le zanne

e non c'è guerra ma maternale pace nella pia foresta

che non dà alibi a spari ma solo a pie difensive gesta

indirizzate alla Terra; e non la caccia, vergognosi fucili,

ma ecologia, coscienza contro vecchi infanti da cimeli

che tecnologia rende precisi nell'uso del ferrovecchio,

ché il pescator di frodo con bombe empie il secchio!

 

Ecco dunque che al grande ruggito quest'ometto tace,

pantofolaio regnante su animali, su uomini, ma pugnace

contro i pacati, lenti, buoni, fiduciosi, trasognati elefanti

che "all'armi all'armi" spianate non tremano; poi crollanti

ai piedacci di chi invece disarmato tremerebbe vigliacco

e con timore pari alla sua squadraccia e al suo lignaggio,

quel figlio di matrigna città e penoso orfano di Natura,

alieno al primario equilibrio eppure,"uomo d'avventura",

facevasi chiamare ieri dai giornali l'assassino per vacanza 

- il cristiano difensore di vita! -, l'amante di una mattanza   

ch'è furto della ricca vita della Terra, non solo morte,

non l'esanime oro che da esanimi rocce viene estorto;

e non è come il toro la cui vita vien pagata col prezzo

del torero, no, poiché senza rischi è l'agiato malvezzo

del cacciatore, e il compare più dell'elefante ucciderebbe

se il dente umano fosse zanna protrusa e così resterebbe

nelle sue stanze a cacciar senza sforzo o, dicasi, in sede,

se i cacciatori dei cacciatori fossero cacciatori e prede.

 

Al Club della caccia si presenta allora il ruggente leone,

cercando una chiave, l'ermeneutica della sua estinzione, 

ma vede là solo teste decapitate di magnifici innocenti

tra cui un cinghiale e una lince strani... veri eppur finti!

come a dimostrar che Natura non si trattiene con paglie

e manti, sguardi, teste sfuggono alle nostalgiche tenaglie

del gobbo imbalsamatore e alla statura della sua chimica;

e son teste che però ne valgon una sola: la pazza, clinica

testa del nobil cacciator nel suo ribaltato mondo interno:

specie di Noè con arca rovesciati... ma in un mare calmo.

 

È così che quelle sale insegnano al leone ogni conoscenza,

ogni risposta alle sue domande in cose messe in evidenza:

il titolo incorniciato, il lingotto lucidato, in lucidata vetrina,

una pinna di pescecane, una foto del papa, una di Cortina,

una sacra reliquia, un baffo di Hitler, un bebè in similpelle,

un compasso, un grembiule da rito, da giudice un martello,

l'autografo di un idiota della tv, la registrazione di un raduno

a Piazza Venezia, un crocefisso da portar su Marte, un fauno

con cazzo in ametista e, al centro del bestiario tassidermico,

l'uomo del Club della Caccia in persona, il bestio endemico.

 

              .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 








 

domenica 15 ottobre 2023

 







Al giogo delle coccole più raffinate

i tondi piedi dei gatti si ritirano

movendo all'indentro e all'infuori

nelle fusa miste d'angoscia e amore

perché il cuore si raggruma, l'anima si contrae

nella sublime follia dell'amore dato

tre volte sublime a ogni ferocia, a ogni caccia,

giogo delle mani umane, cuore aggrumato

darsi e contrarsi nostro e del gatto

noi gattonanti, mani nell'erba secca,

mani come zampe, mento sulla sua testa

rose che s'aprono e si chiudono                   

che nessuno ha mai visto così sublimi 













giovedì 11 maggio 2023

 

 

 

 Campagna

                                  dedicata ad Anda-Ioana Ardeleanu che detesta la Veccia

 

Leguminosa amorevole carnivora

qualcuno ti ha chiamata "Veccia"

e microrganismi simbionti fertilizzanti

tutti assiepati nella rizosfera

a "rendere fertile" - che bella frase! -

il sasso umido e asciutto della Terra.

La Campagna ha i suoi maghi

come le grigie borgate i fruttaroli

e sugli asfalti ciechi e sbriciolati

cassette di pomi, lucenti colori.

Sì, i migliori beni li respingiamo

in Città ma anche in Natura:

ignari i nostri piedi vivono su radici

come le città vivono sempre sui cibi

- la Campagna sfama ancora le Città! -

ma ciò che credono importante, là,

sono le macchine, i drink, i muri

in cui covare odio, paura...

Oh, tra la Campagna e la Città

stupidissimo scegliere quest'ultima

ma il gran mondo ha scelto!  

Terribili quelle come Bruxelles

un tempo sacre di storia umana

e non di storia monetaria 

e Frankfurt medievale, ieri bella

oggi con l'Uomo morto dentro,

gli umani vicoli e il naturale fiume

dimenticati per ciò che credono superiore:

la Banca Centrale e il suo avaro regime

imposto sempre sulla generosa Natura!

Natura di selva e di uomo insieme.

E parlamenti e studi televisivi

ville di imprenditori (per arresti domiciliari),

templi massonici, redazioni di giornali...

tutta l'Europa riccastra 

imposta sulle pure campagne

da cui nacque puro l'Uomo!

Campagne la cui madre è Foresta.

Oh, stupidissmi come sono,

gli intelligentissimi umani,

hanno dimenticato tutto questo!

Microrganismi e batteri

- anonimi angeli campestri -

tutti sotto i nostri piedi

nella mostruosa sfera

dei simbionti e delle radici

ed è sempre così: non vediamo

chi ci offre il miglior bene,

ma chi vede, da Uomo, ode e tace

ed è così che in pochi restiamo

a non parlare, a ricevere il bene felici,

religiosamente felici, e lasciamo

parlare le altre bocche, vane,

in sopravvalutata Comunicazione

che non è mai sottovalutata Poesia; 

e queste, pur sbrodolate del latte 

che era destinato ai vitelli, e frutta

e ortaggi e il burro con la marmellata

contro Natura tuttavia agiscono

nelle supreme città europee

dove i palati si solleticano

con incompresi massacri di vita.

Dalla parola all'atto concreto, 

con mille chiassose prosopopee

e in riti di bestemmia, inquinamento

e ogni altra cerimonia di degradazione. 

Natura obliando, Natura mangiando

a sbafo, Mare e Campagna sfruttando

e dimenticando oltre Moneta.

E bevono vino per l'intossicazione,

ma non sanno cosa stanno bevendo,

quale nettare reso da angeli batteri

per trasformazione di acido malico

o lattico, suprema Trasformazione!

E i festanti moscerini sulla frutta

che poi il cittadino nevrotico

imprecante e orripilato scaccia,

mentre quelli, ubriachi come noi,

sulla massa schiumante danzano,

danzatori un po' come noi alticci,

mentre vinifichiamo e succhiamo,

e talvolta vi si tuffano e annegano,

tuffatori con invisibili becchi.

Sarebbe cosa ben più importante,

invece, fermare le bocche umane.

Ma nessuno ferma le minorenni 

che affogano nei coma etilici.

Nessuno ferma i padri violenti

eccitati da certe fiumane... 

Eppure io vedo che sono le umane

bocche, rapaci e avide, a far schifo,

sono queste le bocche dei mostri!

Quanti beni di Natura son nostri

solo in virtù di appropriazioni,

mentre sono candidi i rostri

di quegli insetti che si posano

sulle nobili fermentazioni,

come sulla maturità zuccherina

le api, le vespe, i calabroni

e altri miliardi di meno noti "mostri";

e succhiando danno benedizioni

necessarie all'intera vita della Terra;

e Natura silenziosamente dispone  

tutto questo come in una serra

umile, paradisiaca; e senza fierezza,

senza pubblicità né propaganda

che non sia un fitto ronzio e basta,

comizio di suprema delicatezza.

Epperò continuano a cicalare

gli umani tonti, a non dir nulla

nei loro tanti giri di parole

prive d'ali, non certo Poesia!

E mentre ingoiano o degustano

non sanno quanto sono avidi,

non sanno che sprecando insultano,

che ignorando i sacrifici animali

doppiamente tradiscono,

e sono maledetti e stupidi

e qualcuno perfino fuma sigarette

distratto, e così uccide di nuovo

quei beni che furono così vividi!

Nella Campagna atossica, ieri,

ho visto arrivare la Dea delle albicocche

donna arancione nel suo giorno

lavata però dalla pioggia di giugno

e così subito gustata dalla mia bocca,

e ho gustato ogni cosa insieme:

frutti e pioggia, frescura e succo,

il bagnato e il bagnarmi, la goccia

che scorre, il sommesso tumulto

del ricevere quel bene in ascolto

tacendo gustando albicocca,

e il rostro mio pieno di sapore

estasi ascesi redenzione...

Perché solo così l'Uomo è redento:

gustando piano e sapiente il Bene,

muovendo verso di esso, dentro

con la sua Intelligenza piena

Ma gli stupidi uomini immobili

non conoscono redenzione

e praticano la bassa "degustazione";

ed erano tutti accanto a me, ieri,

i vicini di terreno, ed erano la morte

oltre la catastale magica recinzione

che ci unisce e ci separa;

e così li ho uditi fin nelle anime:

urlare, pigolanti, scappare, claudicanti    

e la vita e la pioggia portare via,

sparite al tocco delle loro figure

esasperate dalla dolce pioggia;

e là sono svanito un po' anch'io

nella domenica dei morti viventi.

Non sanno - non hanno ancora capito,

hanno dimenticato! - che l'albicocca

arancione contro un cielo nero

ci pone un dono diverso, di colore,

uno strano dono di pittorico dettaglio

prima ancora del gusto feriale e mero.

I grandi pittori, infatti, come i primitivi,

come i primi terrestri campagnoli,

essendo gente fine, sanno ciò e corrono

non a ripararsi in cementizie ville

ad aspettare che spiova immantinente

con imprecazioni in gola tenute male,

ma ai loro cavalletti da pittori vanno

per dipingere en plein air l'evento,

magari sotto un piccolo ombrello.

Capace Visione che è Redenzione

per colui che è pittore, che è redento

per capacità di vista; come l'amico poeta,

come il vero artista; o come il Selvaggio

coriaceo, friabile solo per ordine di Campo. 

Selvaggio la cui umile bocca assapora

ogni cosa e di ogni cosa è parte

per degustazione non da sommelier

ma ignota ai festaioli ladri villeggianti

signori venuti dalla Città per brucare,

stupidi bloccati, in mancanza di sole,

sotto un bel cielo di mirabili piogge,

morti sui loro barbecue, sulle loro radio

accese domenicali in musiche omologanti

che tutti cantano, a cui tutti rosolano

borghesi nella loro Città Cafarnao.

Città di un dio minuscolo che tuttavia

portano nelle campagne circostanti

come fedelmente, come in processione.

Città Cafarnao che però non conoscono

miracoli che non siano atti di Caos,

meschini, degradata moltiplicazione

di pani e pesci in gioia sconsacrata!

Città è già per eccellenza dissacrazione,

quella che scorre bassa, imperialista,

che sia nelle domeniche fuori città

o nei territori occupati di Afganistan,

che sia nei campi palestinesi, nei silenti

luoghi sacri come Gerusalemme o Bagdad...

E così li ho uditi rovinare la Campagna,

musicata solo da uccelli e ronzii,

con le loro bombe di culture dominanti

lanciate in luoghi dove vivono Uomini

ancora esistenti, non borghesi disumani!

Uomini in ascolto, anch'essi animali,

Uomini muti coi loro arnesi di fatica

oppure cantanti, come me, ma lontani,

lontanissimi dai cantanti di televisioni

e radio; accompagnanti così, magari,

la falciatura, la potatura... tutta l'infinita

e dura attività dei campi che è Amore.

La Città, invece, nemmeno è onesta vita

di vecchio popolo, di fieri lavoratori

ma è disamore di cittadini dopo il lavoro

o dopo la noia e la noia di chi tardi s'alza

e perde così la miglior parte della giornata.

Città di drogati e sciancati ma in rivalsa

come certi cocainomani atletici in salsa

di maratone, in pantaloncini aderenti

su corpi poco meno che paralitici; e quando

la gara sfocia in qualche pezzo di Campagna

la chiamano tutti in coro "campestre"

e con facce rubizze si lamentano del "fango",

ed io lo so perché ero simile, correndo

le mie maratone, ma non ero come loro:

bancari rivoluzionari, sedentari celesti...

divisi tra Paradiso perduto e Tempo ritrovato

e la grande Bagdad distrutta dalle bombe!

Ma questa "mediocrità del vivere pedestre"

sembrando eroi... è il vero Fango!

Il caos, la dissacrazione, l'ignoranza

ma anche l'equilibrio, la fede, la sapienza

di una falange di ingegneri e scienziati,

bancari e banchieri - tra cui qualche maestro

d'orchestra, qualche furbo violoncellista! -

e tutti ammassati sono i tanti mostri

in Caos e Ordine di maggioranze istruite.

Sì, ricordo adesso ambulanze preparate

presso i Fori romani, accanto a un Colosseo

come sempre rivissuto e ridimenticato

e ancora oggi si parcheggiano divertite

in attesa che l'atleta borghese muoia, il dio!

Sì, ricordo facce popolane di ambulanzieri.

E qualcuno certamente infine morirà,

scoppierà in tale caos qualche cuore

e sarà una grande domenica di Città

atletica e burrosa come ne conosciamo,

bandierine qui e là, sui petti i pettorali

e medaglie infine date a bestie d'onore,

che sono tutte ammassate e razionali,

o, senzienti, come si dice dei maiali;

e sono tutti, tutti, a loro modo professori

anche i muscolosi e furbi fisioterapisti!

E nei prati gli fanno da contraltare

i giovani studenti, i piccoli universitari

con ambizioni grandi, tra cui i non arrivisti

saranno poi filosofi bidelli alle elementari.

E con i libri di Eco Umberto nelle mani,

o, nelle già settarie massoniche teste,

o chiusi nell'erba di Villa Borghese, del Pincio...

Più difficile, invece, dove si è più popolani,

dove la gente è più vera, come all'Appio

o sulla Tuscolana, per non dire Trullo,

è leggere un mistificatore, un barone,

leggere con piacere, intendo, un massone;

ma oggi che finalmente costui è morto

ne prende il posto l'erede suo indiscusso,

oratore da convention di manager - non certo

richiesto nella partigiana oasi di Villa Lazzaroni!  

Quello che per gli industriali è Galimberti,

riduttore del cinismo a un consentito lusso,

del nichilismo a filosofia vaga, senza realtà,

come fosse storiella ottocentesca un po' russa

un po' tedesca... e non ci dice - l'esperto! -

tutta la viva e attuale dissacrazione

di cui oggi questa idea è spirito e verità.

La Città ascolta forse un po' questo morto

vivente perché qualcuno deve pur ascoltare!

Città che non ascolta più Natura né Dio

ma cita serpenti come fossero intellettuali,

e sono tutti della stessa setta della rosa

e della croce, del potere e del suo nulla,

ed è anche per questo che l'atleta-dio

cade poi nell'erba o sulle pietre del teatro

Flavio... poiché nel nulla il cuore s'arresta,

nella strana intollerabile angusta stupidità;

perché i veleni dei falsi saggi o maestri,

misti ai veleni della restante società,

tagliano man mano fiato e gambe, e di colpo

fanno il cuore più vecchio della sua età.

Veleni dell'immondo uomo che non dice:

Fermati Città, stai sbagliando tutto!

Roma, Italia, compi la tua vera fede,

la tua vita schiacciata di uomini sinceri

non di questi che ti conducono all'infarto!

La bocca del filosofo tace su tutta questa storia,

bocca aperta di Città anch'essa, che divora,

ciancia e, come in un dipinto di Bacon, esplode

tra una cosa che si mangia e una cosa non detta;

bassa fronte su troppo oleosi garantiti spaghetti,

fronte di bestia ma in affettata Degustazione...

Ed è così che Cultura dominante pervade,

per inavvertito olocausto, per lutto

immenso ma inavvertito per le strade,

funerale di un intero popolo ma ridotto

a festa, morte respirata con bocca tesa,

come goduta, sigaretta che toglie vita...

Sempre aperta bocca ma nessuno che dica:

Basta, idiota, stai divorando tutto!

Cafarnao di nessun miracolo, nessuna fede!

Oscena Roma di qualche nuovo impero tonto!

Ed è questo è il nichilismo che nessuno dice:

divorare tutto senza fede come fosse niente,

nessuna cognizione e nessuna sacralità,

nessuna idea e nessuna arte più... per quanto

proprio in questa lista è l'indole italiana! 

Io so che la vera Letteratura, per esempio,

aspetta l'Uomo, proprio come la Natura, 

e si legge solo con bocche e occhi chiusi

e in opposizione a scienziati e imprenditori,

a riduzionisti e liberisti, a chi procura

pillole e denari, virus e atti virali

di cultura industriale, merci profuse...

Penso ora alle centrali nucleari del libro

come sono le varie Mondadori...

Sì, la vera Poesia è come la Campagna,

aspetta l'Uomo, ma fuori da certe porte,

in fondo a stretti e sinuosi sentieri

- che non sono quelli di città, contorti -

e vi sono vasti spazi finali a sorpresa

che la Campagna riserva a chi percorre

i campi, là dove la città è minuscola

e la vediamo all'orizzonte scomporsi

come quando d'estate rovente ondula

sugli asfalti, e vetri sciolti e specchianti

in profondità di campo, tanto che i palazzi,

visti da un bosco o una collina, sono niente,

sono tutto l'impotente uomo che corre

verso un infarto o un delirium tremens, 

uomo che viene da tutta una vita umiliata.

E non parlo del vecchio, senile demente,

ma del giovane laido, annichilito, pronto

a ogni corruzione, a ogni disperazione...

E allora io non so più, come poeta,

a chi spedire "le mie lettere per il mondo",

e non so quale senso abbia la Poesia

tra spacciatori e contadini accomunati

sempre più dallo stesso tipo di sogno,

in fondo alla via più verde che conosco

là dove so che man mano si ritrovano

finché non si uniranno anche più in fondo,

inglobando il bosco, nel cuore del bosco.

E scarpe ginniche e maglie Decathlon

anche tra questi calpestati e sfruttati

che a loro volta diventano calpestatori...

Insomma, a chi posso dire della Natura,

di questa mostruosa cosa piena di vita?

Dei fiori spaventosi e di tutti questi mostri

che sono amici e amiche in piante e bestie!

Del fiore con macchia nera su petalo giallo

che sembra una umana feroce pupilla;

di come un bianco possa esser una tinta

talmente soave da umiliare il grande Raffaello;

e della mani di Talpa, così enormi e brutte;

delle zampe di Tipula, penzolanti e lunghe;

di come mai è stata scritta in carta da artista

la cerchia di questi oggetti spaventosi e belli:

né dal grande Dostoevskij, accurato e vero

nelle sue descrizioni ma solo di fatti cittadini,

né dai poeti, che siano Rimbaud o Pasolini,

i quali pur hanno visto fortemente ogni cosa:

uno "scoppio di colombe", una "erba triste"...

e nemmeno da Pia Pera nei suoi libelli

su fiori e ortaggi, pur così cara e minuziosa...

A lei devo la conoscenza delle Iris fiorentine,

delle Stelle di Betlemme... che vedo in campo,

laggiù dove erompe un fiore di soave bianco

che è velluto proveniente da pianta spinosa,

ma non è lei che amo, che chiamiamo "Rosa",

piuttosto è la sorella verdenera detta "Rovo":

zingara con spini, ma di quelli che restano vivi

nelle mani e tagliano con una ferocia ansiosa

e calma, ritardata e imminente, di popolo!  

Rovi umiliati che leccano lamiere di bandoni,

esiliati sui bordi dai contadini e dunque furtivi

come gli emarginati, alla ricerca di uno spazio loro;

e la falce piomba e insiste ma li tagliuzza appena

perché il popolo agreste è duro, perché i Rovi,

delle nostre desistenze - come la falce che declina -

delle nostre forze sempre più stanche,

delle nostre velleità umane, fumose e leni,

ridono come chi già vede in noi quella breccia

vittoriosa da cui nemmeno il trattore è immune;

ed ha radici da millenario attore, che la Quercia

è più giovane e inesperta, il Rovo poco superficiale,

così privo di fusto, libero da veri rami e chioma,

che non si regge su due gambe come noi inetti

che non ha come noi un solo cuore mortale...

Se la dea del Rovo perirà sarà per ultima,

e morirà con miliardi di umilissimi insetti,

e forse sarà nel clima arroventato o ghiacciato

che ormai accerchia i nostri continenti.

Ed è proprio adesso, come dentro una beffa,

nel mezzo del clima mutante, che io vivo

come Selvaggio, che io incontro la Natura!

Nel cerchio ormai disfatto, disfacente

delle stagioni, la Campagna mai trovata!

Proprio adesso che non si può più amarla,

mi dico, così sconvolta e impura, stralunata!

E tuttavia la amo, ogni giorno non faccio altro.

Non faccio altro che amarla e fecondarla,

coltivarla per ulivi e orti, portarla a frutto

per zucchini e meloni, rucole e nocciole... 

E perfino con unghie la difendo quando

con punta di forbici la libero dalla rogna

sui rami aggrediti, e per sanarli piango sudore,

ricusando il rame, l'applaudita nebbia chimica

la cui infestazione per me sarebbe peggiore!

La zappa molte volte mi si è spezzata in mano

toccando appena: legno secco detto "manico"

contro viva terra; proprio come la penna

che assume, qui in Campagna, un che di ridicolo

oltre il sacro arnese qual è, ritrovata e perduta

nella vita agreste, in questa vita concreta,

e uno scrittore ne resta impressionato:

realista che mai si sarebbe detto così astratto

al cospetto della più reale Vita!

Ma la zappa che si spezza nella mia mano

cade come un qualunque pezzo di umanità

ed è la nostra pochezza ritorta verso di noi,

scherzo stesso della nostra presunzione;

quella cosa davvero infantilmente atletica,

densa di infarti e deliri, che noi davvero siamo.

Tuttavia, se scrivo così cosciente di noi e me

è perché in Campagna questo status di uomo,

di semplice uomo limitato e meschino,

capendo e amando si perde, o si dà in sé

come Uomo ritrovato, dentro un'etica

di uomo che io qui ho chiamato "Selvaggio".

Selvaggio che come gli ulivi a primavera,

come dicono i contadini di qui, "è in amore";

quando è maggio e l'albero si ritrova e fiorisce;

e allora l'anima si amplia, si espande, vuole

capire, sapere tutto di sé e dell'origine,

quindi sale ma torna anche in basso, indietro

a perlustrare il vecchio passato, che marcisce

nell'uomo, e il presente, che tutto fa marcire;

e allora si rivà perfino ad amare di nuovo

le vecchie letture, qui in Campagna; letture

vecchie a cui s'aggiungono le diverse nuove

illuminanti il regno delle piante, degli animali;

e allora non più Balzac ma Fukuoka, Bekoff

La vita segreta degli alberi, le tecniche colturali...

E Proust che infine pare non aver capito niente,

nella sua casa di campagna curata da altri,

nella tanta bellezza regalata ai giardinieri;

tanto che mi dico, rileggendo La prigioniera,

cosa avrà mai potuto vedere da dietro le tende!

Può aver soltanto annusato e origliato

la muffa che permea l'anima e la prende

nelle persone molli, la Morte idealizzata

come Vita, tra i balli e le cerimonie...

mentre nei campi estrema e dura azione

di non meno operosi intelletti si estende

e già pensare alla mano e alla falce è idea,

e la stessa falce pensata da qualcuno: linea

di manico ondulato che solleva e taglia;

e non di meno è idea la zappa che affonda

in colpi pensati per la semina seguente,

il pensare d'inverno la primavera, veggenza

e grandezza d'Uomo umile ma elevato

al rango di pensatore di semi e di stagioni,

e senza macchine ma solo con proprie mani

perché questa è la sfida, la vitale sapienza

che fa del contadino un impavido intellettuale!

Intellettuale impavido ma anche risibile, certo,

di fronte alla Vita che è sempre più forte

e allora i campi ridono e ridono perché

tutto ricresce, specialmente le "infestanti"!

Intellettuale le cui idee meglio si assottigliano

sugli quegli alberi maggiormente vulnerabili,

come i Ciliegi che non si può tagliarli, guai!,

senza sapere quando l'offesa è intollerabile,

quando ne morirebbero come agnelli

squartati in Pasque e Pasquette stupide,

potature incolte e incaute da macellai!

Ma vale lo stesso e di più per le bestie,

e chi sa della Natura sa della Vita,

sa che questa si rispetta, non si molesta,

e si uccide solo se proprio davvero serve!

Vita senziente e amorosa degli animali:

la capra che urla se privata del capretto,

la pecora che piange senza il gregge,

la coniglietta così innamorata dell'altra

che quando ella è morta, ed era nell'erba,

delicatamente, ha deciso di seguirla,

delicatamente, rifiutando il cibo offerto.

Oh, amante senza tempo, che afflizione!

nemmeno Giulietta, nemmeno Edipo

nessuno si è mai tolto la tanto cara vita!

Quanta delicatezza in Natura, troppa!

Gli etologi migliori la chiamano "empatia"

ma questa non è che una povera parola...

Oh, forse indirizzata a chi uccide, a dire,

all'uomo che ne è privo, cosa gli manca;

a chi, senza averla, sgozza o tira un collo,

a chi in luoghi impietosi la dea Fauna alleva,

a chi opera nei laboratori della chimica...

Nemmeno due giorni ci ha dato per salvarla!

coniglietta bianca come la neve, lesbica

Giulietta; e né amore, né pianto, né supplica

né siringhetta con il cibo omogeneizzato

infilata di traverso nella piccola bocca,

niente dal suicidio ha potuto fermarla!

È incredibile cosa può avvenire in Natura,

e cosa può avvenire nell'Uomo ritrovato!

Tutto il meglio dell'uomo cittadino superato

con un salto, con un saltello di coniglio,

per ritrovarsi poi fuori dalle umane gabbie

che non sono mai abbastanza ampie

anche quando le crediamo migliori...

e ci proteggono, invece, dalla libertà vera

proprio quando ci crediamo liberi,

quando perfino si propaganda, la libertà,

nella Città finta e mostruosa dei liberali.

Certo, anche la Natura ha i suoi mostri

e l'ho detto, e sono molti : la stessa Vita

è mostruosa, prima del mostro Natura,

del mostro Campagna, del mostro Oceano...

E sono mostruosi il Vento distruttore,

la Pioggia battente, il Sole siccitoso...

ma tutto è talmente degno, talmente

in equilibrio col suo esser mostruoso...

Pantheon di divini mostri che operano

pieni del loro senso, senza colpa o biasimo.

No, essi non sparano fuochi d'artificio,

tesi di una Città che non sa nulla di nulla

e posticci dèi crea per coprire quelli

che in Natura si affacciano di continuo

anche se vestiti di squame, lane, pelli,

se in scie di bave vanno o con dieci gambe! 

Ed è vero questo parco di Bomarzo,

tra mostri che qui noi siamo... ma non c'è

occhio bestiale e non c'è bestiale muso,

non c'è cinghiale o mantide o lombrico

che non sia un tutt'uno religioso...

e colmo di armonia... e quasi sfarzo

di gioielli che i nostri orafi non eguagliano!  

E non pianta mangiata né vorace bruco

che sia infedele a questo verbo fuso

nel corpo del mangiato e del mangiatore

nel corpo unico del tutto come rito sacro.

I nostri artigiani dell'argento e dell'oro

non volano o strisciano in terra da loro

consacrata, la loro chiesa è un simulacro! 

Qualcuno ha definito religiosi gli Ulivi

e chi non li ha visti, e chi li ha visti davvero?

Dipinti da Giotto, francescani, mistici,

ma io dico che i Mandorli spogli, o i Noci

che l'inverno denuda, non sempreverdi

come gli Ulivi, hanno l'aspetto di croci

alzate sul Golgota per ricevere un Dio.

Protettivi coi loro semi in globi verdi

che poi si spaccano e all'interno, raccolti

in ulteriore strato, i semi della futura vita

stanno, che noi cogliamo per i palati.

Chiesa di foglie, di verdi lance o dita:

estremità di piante che ci toccano

ovunque e addirittura ci guardano,

come i tralci voluttuosi della Vite,

prensili, irrorati di vene sanguigne.

E insistono nei loro scherzi,

ci toccano nei capelli, nella faccia,

alle spalle e alle gambe ci avvinghiano,

s'attaccano avidi come la Veccia!

Quanti milioni di giardini di Bomarzo

che non interessano più nessuno! 

Quanti floreali giochi tra Luce e Pioggia

mai visti da questo unico cittadino!

Questo che si compone di simili a miliardi

e si dà in figli privi di occhi seri, bastardi

come orfani, come incroci, come meticci

nati da un unico corpo di borghese alieno  

per cui spopolate campagne divengono sabbia!

Mentre io vedo, e sono pieno di sguardi,

queste spighe di Avena, spontaneo Orzo,

selvatico Grano... e il campo ne ho pieno!

E osservo ammirato il giro alto del Falco,

i voli grevi e mirati del Corvo, della Gazza, 

l'invincibilità delle formiche e ogni cosa

avviene sotto i soli o sotto le lune radiose,

o nella fiera tenebra di nessun plenilunio

quando nere si muovono, ondeggiano

nel buio vero certe gondole misteriose

di sogno e quelle onde di spighe cavalcano

per i miei occhi neri, forse, o per il loro Dio.

E poi il mattino grande che ne consegue

- ah se non è divino anche questo fuoco! -

il Sole e la sua luce, che è interamente sua,

noi ce ne illuminiamo sempre a sbafo;

e l'Aria del Cielo, del Vento... nei polmoni,

di cui la Città è priva malgrado la confondano

sempre con la libertà... quella mala aria chiusa

tra palazzi, idea con cui gonfiano palloni!

compressa nelle tante case e negli scafi

delle automobili, respirata tra i fumi...

tanto che è facile essere come dei morti,

negli attici peggio che negli interrati,

in tutte le forme di abitato estorte

comunque a un residuo d'aria in bocconi

di smog, di gas, di peti d'uomini in rottami!

Tutti sani e sportivi, là, tutti tossenti,

tutti ficcati in cancerogene prigioni

che sono la Città, da cui non c'è scampo!

La Campagna, invece, è respiro risorto,

e subito i vacanzieri da picnic lo sentono,

nei sensi blandi di bestie industrializzate,

e prima o poi, coi figli, si gettano carponi

nell'erba dolce e pura come neonati;

e sono anche tenere, le famigliole benestanti

nelle loro seconde case... sebbene ridano

di una felicità che bestiali non conoscono,

molto simile a questa merda di pecora

rotta adesso, qui, tra le mie mani

e data fertile, poco fa, sui semi seminati.

Felicità che non è amica di questi animali:

gechi, api, bombi, oziosi gatti ciondolanti...  

che sono corpo di Natura e perciò amati.

Né è felicità amica di corolle aperte su steli,  

fiori su cui certi insetti addormentati e neri

sembrano svenuti, su quei fiori gialli intinti

come nel giallo stesso del Sole, direttamente.

Felicità inarrivabile di chi dorme su un fiore!

Su un cuscino ricamato di polline e odore,

santa gioia che noi mai conosceremo.

Quale Dio potrebbe essere più presente!

Quale divinità potrebbe darsi più dolce!

Non degustazione, non venerazione

ma solo un Amore devoto e incessante

tra grandi Dèi e infimi semidèi campestri,

e lo sono tutti fino alla più piccola pulce!

Tutti insieme uniti, anche i più molesti

- per quest'uomo da molestare -

in una comunità che non è la Città,

la Città in cui tutti, in cui ognuno è solo.

No, Campagna non è l'Italia, non è l'Affare,

non è l'Unione degli Stati nel denaro...

Qui non c'è storia applicata di personaggi,

Fauna e Flora vivono reali come sempre,

e il cemento non ha sostituito villaggi

antichi con la loro alta o bassa gente

comunque vera, come vera era l'Italia.

Qui non esistono case di penoso cartone

e telecamente come quelle della televisione

ma case coloniche di dolce tufo o tane

di volpi e istrici in cui nessuno spia,

tenaci agli inverni, alle piogge e ai venti.

Qui non ci sono omologate culture,

alberi e animali sono ancora naturali

in questi popoli, in questo unico popolo

di natura non si è mai arreso all'uno.

Qui non vige alcun obeso individuo

che voglia ridurre la totalità a sé,

non vige il furbo codice del singolo!

In Natura, qui, solo variopinte creature

e uccelli che sono dei santi, e insetti poeti.

Qui solo tradizioni millenarie e immutate

e gran capacità di necessaria mutazione.

Mantide che da sempre muta colore

in base al colore mutante dell'erba,

e la Pioggia che cambia in ghiaccio

come il fischio del Vento in ululato

finché il tetto trema e ogni metallo

a tale scultore che reinventa paesaggi,

che il giorno dopo non sono più quelli.

Natura è Permanenza e Mutazione,

come Luce naturale è Rivoluzione.

Ma non come noi che mettiamo secoli

a formulare una tesi di Copernico o Galileo,

ad accettare che la Terra sia tonda

a spostare su di essa un solo capello!

Luce di fotosintesi, ad esempio, profonda

e immensa opera interna, di vita,

di respiro, di crescita... al cui comando

si muove ogni pianta, ogni seme, ogni alga

e chissà se la stessa rotazione terrestre

non sia un fatto di Luce, per rimando

al Sole, abbraccio in cui la Terra si piace.

E non c'è buio in cui non vi sia Luce!

Come il buio che cala su questa scrittura

e questa scrittura che ora cala, si riduce

al calare del sole nella finestra

che ho davanti, ed è già notte piena

e la Campagna è negra, anzi nerastra

per quella falce biancheggiante di Luna  

a cui il calendario agrario si rivolge

ancora; e noi un po' ci scherziamo

ma seminiamo sempre sulla sua luce,

mai troppo lontani dal suo richiamo.

Campagna che è laguna veneziana

ma di erba e terra seminata.

Campagna che si muove arsa e allagata,

marea nera che però nel bianco cuoce 

della Luna; e l'uomo Selvaggio la sente,

o il poeta, lupo umano e feroce;

sente che ora sta cominciando, alzata

sugli orti, sporta su ogni seme seminato,

un discorso forte ma piano, una voce...